Sei giorni. Tanto durò la permanenza nelle Marche dell’allora principe del Galles, oggi il re d’Inghilterra, Carlo III. Era il 1988. Maggio per la precisione. Sulla porta del museo di Casa Leopardi una scritta annunciava la chiusura alle visite dal 9 al 14. Furono quelli, infatti, i giorni in cui il figlio della compianta Elisabetta II soggiornò - senza la moglie Diana - nel borgo natio del poeta Giacomo Leopardi, girovagando poi tra gli splendidi scorci marchigiani. A ospitarlo, il conte Vanni e la contessa Anna, che per l’occasione fecero restaurare un appartamento del palazzo recanatese. Arrivò all’aeroporto di Falconara direttamente da Londra, il principe, alla guida di un Bak 146. Da lì si mise al volante di una Jaguar per raggiungere Recanati.
Ad attenderlo c’erano anche il figlio dei conti Leopardi e i loro nipoti Pier Francesco e Olimpia.
Il doppiopetto
Dal cuore delle Marche al nord, sul filo della stessa emozione. Macerata e dintorni non furono l’unica meta di Carlo, il principe. A Urbino è stato ben due volte. La prima visita è stata strettamente privata; la seconda, ufficiale, su invito dell’Università di Urbino e dell’Accademia Raffello. Era l’11 maggio 1988. Si presentò in doppiopetto scuro, pantaloni chiari e grandi occhiali dalle lenti sfumate. Arrivò intorno alle 11,30 accompagnato da un amico d’infanzia e dalle scorte, inglese e italiana. Visitò la casa di Raffaello e il rettorato, dove lo attendeva l’allora magnifico rettore dell’Università, l’altro Carlo signore di Urbino: Carlo Bo. Visitò anche Palazzo Ducale che venne aperto soltanto per lui. Si fermò a pranzo a Palazzo Vecchiotti Antaldi, che già aveva ospitato Margaret, la sorella della Regina Elisabetta, e vi soggiornò. Appassionato di pittura, volle e dipingere, con la tecnica dell’acquerello, uno scorcio di Urbino. E la passione per l’arte lo legò tanto alla città ducale che due anni dopo ci tornò. Era il 6 maggio 1990 e l’allora Principe di Galles venne per inaugurare la mostra dei suoi acquerelli presso l’Accademia Raffaello, di cui è tutt’oggi docente onorario. Non mancò di far visita a Palazzo Bonaventura per un nuovo incontro con Carlo Bo e con Gianfranco Rossi, allora direttore amministrativo dell’ateneo. Ad Ancona, invece, arrivò venerdì 13 maggio del 1988. Federica Rubini, del ristorante Emilia di Portonovo, aveva 20 anni ma ricorda alla perfezione il giorno in cui servì la cena al principe Carlo. Fu una cena con soli sedici ospiti, selezionati tra la migliore nobiltà e borghesia italiana.
«Due ore prima del suo arrivo - riavvolge il nastro Federica - le imponenti misure di sicurezza avevano fatto sgomberare Portonovo, diventata all’improvviso deserta. Il principe era venuto da noi perché mamma (Marisa Dubbini, la figlia della fondatrice Emilia, ndr) conosceva la contessa Leopardi che, due mesi prima, aveva prenotato l’evento». La memoria non tradisce: «Era austero ma disponibile, con il suo aplomb, elegante e di fascino. Alla fine si concesse agli obiettivi e volle salutare e ringraziare tutto il personale, visitando la cucina». Carlo non restò indifferente al gusto della baia: «Antipastino di pesce, spaghetti con i moscioli, con il mitico sugo di nonna Emilia, che il principe apprezzò tanto da concedersi il bis infrangendo il protocollo regale, fritturina mista».
Gli scorci di Jesi e Corinaldo
Il giorno prima, Carlo era stato a Jesi, per una passeggiata in centro. «Una visita privata che non passò inosservata - ricorda l’ex sindaco Gabriele Fava. - Nell’atrio comunale rimase colpito dalle grandi lastre di marmo con tutti i nomi dei caduti: li lesse uno per uno. Qualcuno, che s’era accorto della presenza illustre, fece sapere ai piani alti che c’era il principe Carlo. Ma nessuno scese a rendergli omaggio». Nessuno di istituzionale, ma chi lo riconobbe si fece avanti. «Lungo le viuzze del centro storico, s’innamorò d’uno scorcio così suggestivo da volerlo dipingere - rammenta Fava. – Ordinò alle guardie del corpo di procurargli tavolozza, colori e tela». Pare che quella fosse una sua abitudine, fermarsi e dipingere all’improvviso. «Dalla finestra di una casa vicina - segue il filo della narrazione - una anziana lo riconobbe. “Principe, vuol venire su che le offro il caffè?”. Le guardie del corpo tradussero ma lui, garbatamente, dovette rinunciare per ragioni di sicurezza». Subito dopo la tappa jesina decise di deviare il corteo a Corinaldo, dove si fermò su un tratto delle antiche mura per ritrarre su carta il paesaggio che definì «incantevole».