Dimitri, bimbo ucraino di 11 anni ospitato dalla Caritas, resta senza classe a scuola: ecco perché non è stato accolto

Il provveditore: «Nelle Marche abbiamo sistemato già 100 profughi, non ci sono problemi»

Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale
Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale
di Laura Ripani
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Venerdì 25 Marzo 2022, 03:10 - Ultimo aggiornamento: 26 Marzo, 08:29

SAN BENEDETTO - Non c’è posto per Dimitri nella scuola media più vicina alla Caritas di San Benedetto: dopo la fuga dalle bombe il ragazzino ucraino è colpito anche dalla burocrazia italiana che vieta di superare quota 26 alunni per classe al fine di garantire il giusto distanziamento sociale in tempi di Covid.

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La vicenda
Dimitri - il nome è di fantasia per tutelare l’anonimato del piccolo ucraino - è arrivato insieme alla mamma , nei giorni scorsi, dalla martoriata terra aggredita dalla Russia.

Fino a un mese fa andava a scuola, come tutti i ragazzi della sua età e sognava un futuro libero e felice. Poi la guerra ha sconvolto la sua vita e si è ritrovato a San Benedetto, amorevolmente accolto dalla Caritas diocesana come altri suoi connazionali. Un luogo, è vero, alla periferia ovest della città, ma nel bel mezzo di un quartiere residenziale. E quando per lui è stato chiesto un posto in classe è arrivato il gentile quanto fermo diniego. Non per cattiveria o motivi discriminatori, ci mancherebbe: solo che non c’è posto, le classi sono piene. Ora non è pensabile che un bambino di poco più di 10 anni possa, da solo, attraversare la città per trovare magari più lontano un istituto capace di accoglierlo in primo luogo perché non conosce la lingua e forse non ha mai neppure preso un mezzo pubblico a casa sua, figuriamoci così lontano e in una situazione psicologica così delicata.


La spiegazione
«San Benedetto è una città grande, posti ce ne saranno di sicuro - spiega il Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale - Noi siamo impegnati sul fronte dell’accoglienza e abbiamo già sistemato circa 100 ragazzi in tutte le Marche. Sicuramente non sono tutti quelli arrivati ma la procedura è standard. Si devono presentare in questura e devono essere identificati. A quel punto si verificano le questioni sanitarie, che poi vuol dire, se sono vaccinati o no. Una volta che tutto è a posto, le scuole possono accogliere i ragazzi i quali possono cominciare a frequentare le classi. Ribadisco che c’è disponibilità sul nostro territorio. Abbiamo 10mila classi in tutte le Marche, qualche decina di alunni in più non crea problemi».


Le regole
Già, per i grandi numeri del provveditore spazio ce n’è a sufficienza ma per il singolo Dimitri la situazione purtroppo non è così chiara. «Stiamo aspattando una risposta» dice laconicamente don Gianni Croci senza aggiungere commenti. Ma sarebbe una vicenda non tanto diversa da quella di altri ragazzi, italiani però, affidati dai servizi sociali alla Caritas che si sono trovati nelle medesime condizioni: non ci sono posti disponibili.


La Dad
Due amici di Dimitri, invece, il problema l’hanno risolto alla radice: poiché frequentavano in Ucraina una scuola privata continuano a restare in contatto con i propri docenti. Una sorta di Dad giustificata non più dal virus ma dalle bombe. Un metodo intelligente anche per non perdere i contatti. D’altra parte se c’è una cosa che i conflitti distruggono spesso è l’identità e la scuola è parte integrante del sentirsi legati gli uni agli altri. Quindi via alla didattica a distanza, ma per Dimitri non è possibile. Intanto magari potrà cominciare, con la mamma, i corsi organizzati dall’Utes, l’Università delle Terza età di San Benedetto e Grottammare per favorire l’integrazione.

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