ANCONA - No all’etichetta a semaforo. Difesa coerente delle nostre tipicità. La casciotta d’Urbino Dop, tra i formaggi simbolo del made in Italy alimentare, si affianca alla battaglia promossa da Afidop, l’associazione formaggi italiani Dop e Igp, contro l’etichetta del nutri-score in approvazione da parte della Ue, che assegna un colore ad ogni alimento in base al livello di zuccheri, grassi e sale, calcolati su una base di riferimento di 100 grammi di prodotto. L’etichetta potrà influenzare la scelta dei consumatori che priviligeranno, d’istinto, cibi con semaforo “verde” rispetto a quelli “rossi”.
«Se il nutri-score venisse approvato dall’Ue - dichiara Paolo Cesaretti, coordinatore del Consorzio della casciotta d’Urbino Dop, a farne le spese non sarebbe solo il consumatore, ma anche il Sistema-Paese.
L’etichetta ideata dalla Francia “Nutri-Score” e utilizzando appunto l’immagine di un semaforo, assegna un colore, e dunque un “via libera” o meno, ad ogni alimento in base al livello di zuccheri, grassi e sale, calcolati su una base di riferimento di 100 grammi di prodotto. Intuitivamente i cibi con semaforo “verde” sono da preferire rispetto a quelli “rossi”. «In questo momento - continua Cesaretti - c’è poi lo spettro della contrazione dei consumi: oggi a renderlo ancora più evidente nel nostro settore sono le conseguenze dirette del conflitto, il caro bollette e petrolio. Ma domani potrebbe arrivare anche il nutri-score, un sistema di etichettatura nutrizionale fuorviante che va bloccato prima di allontanare ulteriormente il consumatore dai formaggi e da altri simboli della dieta mediterranea».
Tra i dieci piatti italiani che il nutri-score rischia di cancellare dalle nostre tavole c’è la crescia al prosciutto con casciotta d’Urbino Dop, simbolo della colazione pasquale marchigiana. Divenne una specialità distintiva marchigiana con il signore del Ducato di Urbino, Federico da Montefeltro, che decise di proteggere il suo territorio dalle scorrerie dei pastori transumanti agevolando l’uso dei pascoli per gli allevatori locali. La produzione di piccole forme rotonde, morbide e dal sapore delicato si affinò fino ad arrivare, negli anni ’60 del secolo scorso, alla formula delle “vergare”, donne del pesarese dedite all’allevamento del bestiame: latte ovino 70-80% e latte vaccino 30-20%. «Dietro a ogni Dop - conclude Cesaretti - c’è un patrimonio enogastronomico fatto di tradizioni, persone, territori e clima unici al mondo per peculiarità. Penalizzando i formaggi certificati, il nutri-score mette a rischio ricette dove la presenza dell’ingrediente è caratteristica essenziale».
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