Il rettore di Camerino Pettinari: «L’economia della rinascita vive nei cantieri post-terremoto»

Il rettore di Camerino Claudio Pettinari
Il rettore di Camerino Claudio Pettinari
di Maria Cristina Benedetti
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Mercoledì 2 Giugno 2021, 05:35 - Ultimo aggiornamento: 11:13

CAMERINO - Parlando futuro capita che la formula per farcela sia frutto di un mix di macerie post-terremoto e di una pandemia che, oltre a lasciare ferite sul cuore e sulla mente, spinge a riemergere. In pratica da due stop forzatati dell’esistenza arriva la lezione della resilienza. Assorbire un urto senza rompersi. E allora capita che nei cantieri della ricostruzione si può ritrovare l’occupazione persa lungo le strade desertificate dal Covid. L’alchimia dell’ottimismo è a cura di un rettore, che nel cratere vive e insegna. Camerino metafora di ripartenza. 

L’alchimia dell’ottimismo.

Claudio Pettinari applica alle macerie del terremoto l’insegnamento della pandemia. «Si riparte». Niente toni sfumati per il rettore dell’Università di Camerino, al centro esatto del cratere: «Si deve». 


Procediamo per ordine. Il Covid ci ha consegnato la lezione del futuro: mai più senza scienza né ricerca.
«Sono la base del sapere. Cercare e studiare, per affrontare il presente e ipotizzare il futuro. Altrimenti non c’è progresso. Sono poche le scoperte causali. Ciò che manca sono i finanziamenti, la presa di posizione politica. Un paradosso. Noi abbiamo i migliori ricercatori del mondo. Non c’è professore, negli Stati Uniti, che non ne voglia uno al suo fianco. Sanno fare collegamenti di cui altri non sono capaci». 


L’inerzia è nulla, solo il moto è tutto. La formazione salirà sul podio di domani?
«Lo è sempre stata, almeno per me. Altrimenti non sarei qui. A livello di nazione la percezione della scuola era a livelli altissimi negli anni Settanta, allora i nostri professori erano dei leader». 

E oggi? 
«Hanno perso peso. Mentre invece altri Paesi, come la Cina, stanno investendo molto in questa direzione, anche con il nostro supporto, perché studiano da noi. Nei momenti di crisi torna la centralità dell’istruzione. Poi, passati i periodi bui, ci si dimentica». 


Il moto?
«È fare le cose subito, con rapidità. Io non amo stare fermo».


Da settembre che mondo sarà il suo, l’agorà di umanità e sapere che è l’università?
«A Camerino abbiamo già anticipato settembre. Stiamo andando in presenza al 50%, talvolta si sfiora il 60, con tutte le regole del caso. Molto in aula, tanto nei laboratori. La conoscenza non si può trasmettere da lontano, gli spazi vanno condivisi. Vissuti. Mi conceda un vanto».


Prego.
«Anche durante le lezioni a distanza i prof si collegavano online con gli studenti da qui, dall’ateneo. Un gesto per non perdere il senso».


Cosa s’è smarrito in questo anno e mezzo di isolamento e d’incertezza da pandemia?
«Il bene comune. Pensiamo di più come singoli individui. Ma la società è fatta di comunità, attraverso la quale si può badare meglio anche a noi stessi».


Un esempio?
«L’aver fatto il vaccino prima di un altro, anche senza averne motivo. È il privilegio che batte il diritto».


La sua chimica, che valore aggiunto? 
«Io vivo della mia formazione. È in ogni cosa che faccio e che penso. La sensazione di felicità che provo è la reazione di sostanze chimiche. È il merito del mio essere pratico. Essenziale. E poi è una disciplina che si mette a disposizione delle altre. Senza, non esisterebbe la biologia e non potremmo studiare l’anatomia di un corpo. È una scienza centrale».


Qual è la lezione più preziosa dell’insegnamento?
«Che un problema non può galleggiare, va risolto».


Applichiamo subito il suo principio alla ricostruzione post-terremoto. 
«È esattamente il punto della ripartenza. Solo i sette cantieri che coinvolgono il nostro ateneo valgono 42 milioni di lavori e impegneranno 200 persone per un paio d’anni. È l’economia della rinascita». 


La messa in pratica?
«Si sta partendo».


Ci crede davvero?
«Ribadisco: sono un ottimista». 


Appellandosi sempre allo stesso principio, del vietato galleggiare, come valuta la gestione dell’emergenza sanitaria? Vaccini, protocolli, responsabilità personale: qual è la sua scala di priorità?
«Al primo posto metto la responsabilità personale che ricade su tutte le altre voci. Ma il tema è un altro».

Cioè?
«È se la comunicazione sia stata veicolata in maniera corretta. Nel caso delle altre profilassi nessuno ci diceva di scegliere tra A, B o C. Mai. Si faceva e basta. Ora la gente è frastornata. Ripeto: responsabilità innanzitutto; vaccini molti; protocolli corretti. La comunicazione, no, quella è stata sbagliata».


Per quanto terrà la mascherina?
«Fino a che il Governo mi dirà di non toglierla. Sono molto attento alle regole, altrimenti non potrei pretendere il rispetto dai miei studenti».

Il vivere con il volto celato, con la voce e i gesti filtrati dall’online come ci hanno cambiati?
«Sono venuti meno il sorriso, l’abbraccio, la vibrazione del corpo. La parola attraverso la mascherina è monotona. Distoglie l’attenzione».


Limiti e arricchimenti?
«L’arricchimento passa sempre attraverso la consapevolezza di un limite. In questo caso imposto dalla pandemia».
 

Ha dettato la formula.

«Sono un chimico».

Libertà sperata o raggiunta. Che viaggi farà?
«Sono stato a lungo responsabile dell’internazionalizzazione per l’università. Ho visto tante nazioni, ho apprezzato le diversità dei popoli. Tutte. Ma ora non ho il desiderio di partire. La bellezza è ovunque. Anche vicino casa, magari prima non l’avevamo notata. È in una cascata o in un albero che appartengono alla nostra quotidianità. Sì, continuerò a scoprirla e non lo farò da solo: guardando attraverso gli occhi dell’altro se ne potrà godere appieno».


Perché gli ambienti vanno vissuti, condivisi. Giusto? 
«Sempre. È la dimensione del sapere».

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