Otto omicidi in 8 anni nelle Marche: quando la malattia mentale trasforma un uomo in killer

Otto omicidi in 8 anni: quando la malattia mentale diventa l'arma dei killer
Otto omicidi in 8 anni: quando la malattia mentale diventa l'arma dei killer
di Martina Marinangeli
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Mercoledì 3 Agosto 2022, 02:10 - Ultimo aggiornamento: 20:25

Non solo Civitanova. L’omicidio efferato di Alika Ogorchukwu, ucciso a mani nude da Filippo Ferlazzo lo scorso venerdì, ha riportato prepotentemente in primo piano il delicato tema dei reati violenti commessi da persone con disturbi mentali noti alle strutture sanitarie pubbliche. In questo caso, Ferlazzo aveva ricevuto un Tso (trattamento sanitario obbligatorio) a Salerno per sindrome bipolare con comportamenti psicotici e disturbo borderline di personalità. Una condizione tale da renderlo una bomba a orologeria che, alla fine, è esplosa. Ma come può accadere che chi soffre di disturbi psichiatrici gravi ed acclarati sia lasciato libero di arrivare fino ad uccidere un uomo? Per quanto emblematico, il caso di Ferlazzo non è infatti l’unico in questo contesto e nelle Marche l’elenco inizia a farsi preoccupantemente lungo. 


Gli altri precedenti
Negli ultimi otto anni, sono stati ben otto i casi di omicidio perpetrati da persone con disturbi mentali, e di questi cinque sono avvenuti nella provincia di Ancona.

Riavvolgendo il drammatico nastro fino al giugno 2014, si risale al caso di Consuelo Galea che, a Fabriano, uccise la madre colpendola alla testa con il calcio di un mitragliatore da softair. Da tempo conviveva con problemi psichiatrici e per lei la Procura di Ancona non poté fare altro che chiedere il proscioglimento per incapacità mentale. Solo due mesi dopo, la comunità di Collemarino, ad Ancona, fu sconvolta dall’omicidio della piccola Alessia di 18 mesi, accoltellata 30 volte dal padre Luca Giustini che era convinto di eseguire l’ordine di una voce divina. Anche in questo caso, è stato assolto per vizio totale di mente. La madre aveva riferito che l’uomo era depresso da tempo, ma non sarebbe stato fatto nulla per intervenire. Lasciando la provincia di Ancona per spostarsi nel Maceratese, arriviamo al caso di Debora Calamai, che nel giugno 2015 uccise il figlio di 13 anni con nove coltellate. Una perizia psichiatrica stabilì che la donna era incapace di intendere e di volere a causa di un disturbo «schizoaffettivo bipolare».

La mano del killer

Di caso in caso, arriviamo al settembre 2017 quando, ad Ascoli, Virgilio Cataldi uccise la zia tagliandole la gola. Ai carabinieri che lo interrogarono, riferì che il gesto era stato guidato da forze superiori: «Me lo ha detto Santa Rita», le sue parole. E fu giudicato anche lui incapace di intendere e di volere. La maggior parte di questi casi di omicidio in cui la mano che colpisce è guidata da una mente instabile si concentra tuttavia nella provincia di Ancona, come testimoniano le ultime tre tragedie in ordine di tempo. Partiamo dal gennaio 2018 a Cupramontana: Besart Imeri soffoca in macchina il suo primogenito di 5 anni. Nel suo caso, in un primo momento era scattata la condanna a 12 anni di reclusione, poi ribaltata nel processo d’appello, dove è stato assolto perché totalmente incapace di intendere e volere. La chiave di volta arrivò con la perizia affidata dalla Corte al professore bolognese Renato Ariatti, che ravvisò un delirio mistico religioso, dettato principalmente da un “polistress”. Una diagnosi, dunque, arrivata ex post, ma durante i colloqui con gli inquirenti, aveva sempre sostenuto di essere stato spinto da una forza sovrannaturale che si era impossessata di lui.

A luglio 2020 Michel Santarelli, con una storia nota di disturbi psichiatrici, uccide a Jesi la vicina di casa (il marito si salva per miracolo), ferendola mortalmente al collo con il vetro di una finestra, rotta per introdursi in casa. C’è infine la storia di Mattia Rossetti, che a dicembre 2020 ha tolto la vita a coltellate ad un ex compagno di scuola, tacciato di essere la causa dei suoi fallimenti. Durante il processo, gli è stato riconosciuto il parziale vizio di mente, ma è comunque stato condannato a 20 anni di carcere, più 5 anni in Rems (struttura sanitaria per l’esecuzione di una misura di sicurezza). 

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