ANCONA - La proposta di legge per riformare il Consorzio di bonifica sta creando spaccature nel Consiglio regionale delle Marche. Primo firmatario dell’articolato, il capogruppo di Civitas Giacomo Rossi, che della battaglia all’ente ha fatto la sua bandiera politica. Ora è pronto a dare il colpo di grazia, con una normativa volta ad «abolire la tassa di bonifica e ricondurre il Consorzio al ruolo per cui era stato creato».
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L’assalto alla diligenza
Un assalto alla diligenza che però non convince tutti, neanche all’interno della stessa maggioranza.
Il bersaglio delle critiche
Il Consorzio di bonifica è già stato in passato bersaglio di critiche da parte degli agricoltori per la richiesta di pagamento di una tassa che reputavano illegittima poiché non legata ad indici di beneficio ed efficacia delle opere portate avanti dall’ente, data l’assenza di un Piano generale di bonifica. Per comprendere bene la questione, però, è necessario riprendere le fila dal lontano 1933 quando, con decreto regio, nascono in Italia i Consorzi di bonifica allo scopo di provvedere, in maniera “integrale”, alla bonifica idraulica dei territori, occupandosi della sicurezza idraulica di tutti i corsi d’acqua, della gestione dei canali e dei sistemi di irrigazione per l’agricoltura e della realizzazione di opere e infrastrutture pubbliche.
Erano cinque
Nelle Marche ne erano cinque, almeno fino al 2013, quando l’allora giunta Spacca costituì con apposita legge il Consorzio unico, incorporando per fusione i tre consorzi presenti nel territorio, ovvero quello dei fiumi Foglia, Metauro e Cesano; quello del Musone, Potenza, Chienti, Asola e Alto Nera; e quello di Aso, Tenna e Tronto. Allo stato attuale, il territorio regionale è suddiviso in quattro comprensori che rispondono a caratteristiche comuni a livello idrografico e irriguo.
La richiesta di contributo
Nel 2014, il neonato Consorzio unico reintrodusse la richiesta di contributo di bonifica, che dal 2001 era stato limitato al solo servizio irriguo. «Il consorzio unificato ha preteso il pagamento di “ruoli di contribuenza” che le stesse Commissioni tributarie competenti hanno definito non esigibili – si legge nel dossier che accompagna la pdl 39 –. Sono nati comitati a difesa degli agricoltori che si sono sentiti vessati e che, nonostante il pagamento del contributo, non hanno mai visto opere di bonifica e di miglioramento fondiario negli immobili di loro proprietà con esclusione per quelli nei comprensori irrigui.
La numerosa giurisprudenza
Dalla numerosa giurisprudenza – prosegue il documento – si evince chiaramente che, come requisito imprescindibile della richiesta di pagamento dei contributi consortili, debba esserci la dimostrazione dei vantaggi specifici e diretti all’immobile del contribuente». Di qui, la decisione di ristrutturare l’ente dalle fondamenta, con una normativa che «commisuri le eventuali contribuenze ad oggettivi interventi, con concreti benefici per i proprietari degli immobili ubicati nelle aree definite a comprensorio di bonifica. Non tutto il territorio regionale può intendersi di bonifica, la ratio è quella di definire aree di bonifica ed aree a comprensori irrigui».
La sostenibilità
La sostenibilità del Consorzio, secondo la proposta di legge, sarebbe comunque possibile poggiandosi su quattro pilastri cosiderati irrinunciabili: «l’attività di bonifica secondo il Piano generale di bonifica, le attività irrigue nell’accezione classica del termine e di produzione irrigua, i proventi derivanti dalle centrali idroelettriche delle opere di accumulo (dighe), gli introiti dovuti alle spese generali per le opere che la Regione demanda al Consorzio in tema di difesa del suolo, di sistemazioni idraulico-forestali».
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