Da Louis Vuitton ad Amazon, Marche terra di conquista dove si produce e non si decide più

Da Louis Vuitton ad Amazon, Marche terra di conquista dove si produce e non si decide più
Da Louis Vuitton ad Amazon, Marche terra di conquista dove si produce e non si decide più
di Maria Cristina Benedetti
4 Minuti di Lettura
Lunedì 19 Dicembre 2022, 03:35 - Ultimo aggiornamento: 20 Dicembre, 11:29

ANCONA - La declinazione dell’attrattività. La sofferta tappa d’avvicinamento di Amazon a Jesi è un’operazione “greenfield”: un’azienda internazionale arriva e costruisce nuove strutture operative. Le Marche sono come una tabula rasa sulla quale s’innesta la filiale d’una multinazionale. Pura logistica, in questo caso. Cambia la prospettiva col fashion spinto di Louis Vuitton che affonderà le sue radici a Civitanova, a nord della zona industriale: una mossa sulla scacchiera per cogliere tutti i vantaggi della manodopera locale. Sotto l’ombrello del marchio del lusso Lvmh di Bernard Arnault, l’azienda francese replicherà l’operazione-Fendi, che a Fermo è già una realtà. Il corollario di questo moto a luogo è la Hugo Boss di Morrovalle, dove la casa di moda tedesca, con sede a Metzingen, crea calzature. Il principio ispiratore è sempre lo stesso: assorbire il know how d’un fornitore di zona. Chiamiamole acquisizioni. 

 


Il dualismo 


Sull’altro lato della medaglia del dinamismo d’impresa è inciso a fuoco il rischio che questa regione del fare si riduca a essere un’arida terra di conquista.

La formula del danno la enuncia Donato Iacobucci. «Qui si fabbrica, ma le decisioni, sempre più spesso, vengono prese altrove, lontano». Se fosse filosofia della mente sarebbe il dualismo, la concezione teorica che vede la separazione tra mente e corpo. Strategie e produzione. Il docente di Economia applicata dell’Università Politecnica definisce i margini d’uno scenario in progress: «Negli ultimi dieci anni sono cresciuti gli acquisti da parte di gruppi esteri. Indesit inglobata alla Whirlpool, iGuzzini Illuminazione passata agli svedesi di Fagerhult sono solo i nomi eclatanti d’un fenomeno più generale». Converte il dato in effetti collaterali: «Perdere la proprietà significa minore attenzione alle esigenze del territorio». Il suo timore: «Alla prima difficoltà è più facile uscire di scena, cambiare orizzonte». Si concentra, poi, sull’altra metà del bicchiere, quello mezzo pieno: «Di contro, l’ingresso di multinazionali in un territorio produce effetti positivi sull’intero sistema attraverso la diffusione di pratiche gestionali e manageriali avanzate». Dritto, rovescio, e viceversa. 


I numeri 


La declinazione delle cifre. Narra d’imprese, italiane, che mostrano una tendenza sempre maggiore a utilizzare forme varie di collaborazione e aggregazione. Dai primi anni del 2000 a oggi sono state registrate 40mila operazioni di finanza straordinaria, di cui le fusioni&acquisizioni rappresentano il 41% del totale, oltre 16mila in valore assoluto. Riannoda il filo-local, il prof: «L’andamento, nelle Marche, segue un trend di crescita superiore. Nell’epoca pre-pandemia, 2018-2019, il numero medio di movimenti per anno era moltiplicato per quattro rispetto a quello dei primi anni 2000». Nell’arco temporale compreso tra il 2005 e il 2021 si sono contate 60 aziende passate di mano, con la maggior parte dei movimenti concentrati nelle province di Ancona e Pesaro-Urbino. Dà senso a questo andirivieni, Iacobucci: «Il fenomeno è cresciuto in misura considerevole sia a causa delle situazioni di crisi che si sono succedute dal 2008, sia per i problemi associati al passaggio generazionale. Tant’è che le marchigiane si sono trovate con maggiore frequenza sulla sponda delle acquisite piuttosto che su quella dell’acquirente». Al motto di maggiore continuità del business e legame con il territorio, molte delle società che hanno dovuto cedere sul fronte dell’autonomia continuano a operare nel contesto regionale, incrementando il valore della produzione e gli occupati. 


Le performance


Va alla ricerca dell’equilibrio perduto, Iacobucci: «In realtà, non vi è una evidenza empirica del fatto che le crisi siano più frequenti in imprese a proprietà estera. Al contrario, diversi studi dimostrano che quelle appartenenti a grandi gruppi vantano performance superiori». Resta in bilico: «Bene i vantaggi e la capacità manageriale. Ma cosa rimarrà sul territorio se le funzioni avanzate diventeranno un miraggio?». La declinazione dell’attrattività.
 

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