Green economy? Nì, grazie: la svolta è soltanto a metà. Nelle Marche il 6% delle aziende registrate è a trazione verde

Solo il 6% delle aziende marchigiane sono green
Solo il 6% delle aziende marchigiane sono green
di Francesco Romi
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Domenica 14 Novembre 2021, 10:11

ANCONA - Fa un certo effetto vedere Marche e Umbria nella seconda metà della classifica di Fondazione Symbola e Unioncamere sulle imprese che hanno investito nella green economy: quelli che, nell’immaginario collettivo, sono (o si auto-considerano?) i polmoni verdi dell’Italia si trovano nel gruppone delle regioni del Sud Italia, con la Puglia fa nettamente meglio. Sono 8.806 le imprese marchigiane segnalate nella ricerca, il 6% delle oltre 500 mila attive nella regione.

 
Sotto la media italiana
Oltre due punti percentuali e mezzo sotto la media italiana; il Molise ha una percentuale di incidenza più che doppia rispetto alle Marche (13,5%, anche se con meno imprese), ma il segnale più forte arriva dalle regioni traino dell’economia nazionale: in Lombardia sono l’11,1% del totale, in Piemonte il 10,6%, in Veneto il 9,7%.

E qualcosa vorrà significare soprattutto sullo stato di avanzamento della transizione verde in chiave PNRR. 

Un nuovo modello
«Nell’impresa verde ognuno deve fare la sua parte: certamente le istituzioni, ovviamente gli attori privati ma anche la finanza». Nella criticità, Gino Sabatini vede una soluzione, ipotizzando una sorta di sharing economy, una sorta di ecosistema all’interno «si sta insieme e si collabora per risolvere i problemi». Per il presidente della Camera di commercio regionale è «una strada obbligata, imposta dalla presenza di migliaia di piccole e piccolissime imprese che vanno accompagnate nel passaggio ad una società circolare». In questa direzione, però, le aziende medie, quelle leader «che hanno già avviato questi cambiamenti» hanno un ruolo determinante, «perché chiamate a trainare la nostra impresa diffusa, un modello che altrimenti rischia di uscire definitivamente dai mercati e per le Marche sarebbe una tragedia. 


Oltre il bla-bla-bla 
Nonostante i numeri (bassi) di chi si è spinto sulla strada del green non mancano gli esempi virtuosi, gli imprenditori coraggiosi che credono e investono nella sostenibilità e nell’economia circolare. Buone pratiche che possono generare un effetto trascinamento. Ad esempio, alla Western Co. di San Benedetto del Tronto, dove la digitalizzazione è al servizio delle comunità energetiche; o nel caso della Starplast di Sassocorvaro, che fa leva sull’innovazione per trovare soluzioni efficienti nel mercato della depurazione delle acque e del loro trattamento e recupero sia nel settore industriale che in quello civile. E poi la Faam di Monterubbiano, unica compagnia al mondo in grado di provvedere al ciclo di vita completo delle batterie piombo-acido; gli startupper della Wizard di Castelfidardo, che hanno messo a punto un prototipo di compattatore di rifiuti innovativo.


Verdi per eccellenza 
«La nostra scelta l’abbiamo fatta nel 2015, diversi anni prima che si cominciasse a parlare di transizione ecologica e di fabbrica 4.0». Sara Santori guida la Conceria Nuvolari di Monte Urano, un’impresa benefit, cioè che genera profitto impegnandosi contemporaneamente a creare un impatto positivo sulla società e sull’ambiente. Possibile per una conceria? «Sì, con investimenti e utilizzando competenze – risponde -. Abbiamo prima tolto i minerali pesanti dal processo di concia, poi messo punto materiali sempre più compostabili e biodegradabili, ottenendo le certificazioni necessarie, fino ad affinare processi di composizione delle emissioni di CO2 e a divenire carbon neutral».

A Rimini, in occasione di Ecomondo, l’azienda ha presentato un prototipo di scarpa totalmente compostabile, realizzata in collaborazione con un suolificio della Val di Chienti. Un cambiamento radicale e non solo per il comparto della calzatura: innovare in direzione della green economy non è una questione di leggi e norme, dunque, ma un fattore di competitività.

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