Giunta delle Marche poco rosa: scatta il ricorso contro le nomine. In 62 firmano l’opposizione al verdetto del Tar che aveva dato ragione ad Acquaroli

Giunta delle Marche poco rosa: scatta il ricorso contro le nomine. In 62 firmano l’opposizione al verdetto del Tar che aveva dato ragione ad Acquaroli
Giunta delle Marche poco rosa: scatta il ricorso contro le nomine. In 62 firmano l’opposizione al verdetto del Tar che aveva dato ragione ad Acquaroli
di Martina Marinangeli
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Domenica 6 Febbraio 2022, 08:00

ANCONA  - Quote rosa? Giusto lo stretto indispensabile. La composizione della giunta Acquaroli – una donna e sei uomini, compreso il presidente – era già finita nel mirino di un ricorso al Tar a poche settimane dall’insediamento, ma i giudici amministrativi, con sentenza 557 datata 23 giugno 2021, avevano dato ragione a Palazzo Raffaello. Un pronunciamento che, già allora, aveva fatto discutere e adesso è scattato il ricorso in appello per chiedere «l’annullamento o la riforma» di tale sentenza.

La lunga lista di ricorrenti si compone di 62 persone – tra cui la consigliera di parità Paola Petrucci, la consigliera regionale Manuela Bora, l’ex governatore Vito D’Ambrosio, il segretario provinciale del Pd di Ancona Jacopo Francesco Falà ed il candidato governatore nel 2020 con la civica Dipende da noi, Roberto Mancini –, rappresentate dagli avvocati Massimo Belelli e Claudio Freddara. 


In prima battuta, i ricorrenti si erano rivolti ai giudici amministrativi chiedendo l’annullamento dei decreti regionali con cui venivano nominati gli assessori ed attribuite le deleghe all’interno della giunta Acquaroli.

Secondo i ricorrenti «la nomina di una sola donna, all’interno di una giunta composta da sette membri (sei uomini) compreso il presidente, viola tutta la normativa, di ogni livello, in materia di parità di genere». Il Tar, tuttavia, ha in quell’occasione respinto il ricorso con una sentenza – ora impugnata – basata sul presupposto che lo Statuto della Regione Marche si limita a garantire la “rappresentanza di entrambi i sessi”, «concludendo che detta rappresentanza sarebbe quindi sufficientemente garantita “anche dalla presenza di una sola donna”», il riepilogo contenuto nel ricorso in appello. «Conclusione a dir poco stupefacente nella banalità formale ed assurdità logica, giunta a seguito di una frettolosa disamina della fattispecie», l’affondo contenuto nelle 20 pagine di ricorso, con le quali «si invoca una valutazione più attenta non solo delle attuali istanze sociali frutto della consapevolezza della sostanziale iniquità di certi privilegi, ma anche del quadro normativo entro cui deve essere inserita la fattispecie in esame». 


Ed ancora: «Mai come in questo decennio è divenuta insopprimibile l’esigenza del Paese di superare finalmente la consolidata e stratificata ingiustizia della disparità di trattamento tra uomo e donna». La difesa della giunta, sostenuta all’epoca del primo ricorso dall’Avvocatura regionale, aveva sottolineato come «il formale rispetto del principio della parità di genere non può in alcun modo determinare un aggravio delle funzioni politico amministrative...o provocare un ostacolo». «Insomma – osservano con un filo di sarcasmo i legali nel fare ricorso in appello – inserire donne in giunta provocherebbe ostacoli o aggravi all’agire, che il presidente ha inteso evitare». Ora, al netto della decisione che prenderanno i giudici amministrativi in seconda battuta, davvero le quote rosa sono solo un fastidioso dettame normativo a cui ottemperare? Davvero nella maggioranza di centrodestra non ci sono donne ritenute idonee a ricoprire un ruolo in giunta al pari dei cinque assessori uomini che ad oggi siedono a fianco di Acquaroli? In tal caso, il problema sarebbe ben più grave di un ricorso al Tar.

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