Giorgia Meloni sotto l’Arco: «Siamo come Traiano e crediamo nelle Marche»

Giorgia Meloni sotto l’Arco: «Siamo come Traiano e crediamo nelle Marche»
Giorgia Meloni sotto l’Arco: «Siamo come Traiano e crediamo nelle Marche»
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Venerdì 26 Giugno 2020, 05:10

ANCONA La prima tappa è al porto antico di Ancona, all’ombra dell’Arco di Traiano, «un imperatore che aveva scelto di credere nello sviluppo di questa città e di questa regione, come vogliamo fare noi». La seconda, al cantiere di una delle più grandi incompiute del territorio, il nuovo Inrca, «simbolo delle Marche ferme». Niente è lasciato al caso nel mini tour dorico di Giorgia Meloni, venuta ieri mattina nel capoluogo per lanciare la corsa a palazzo Raffaello del suo candidato Francesco Acquaroli che, dopo mesi di serrate trattative, è ora «il portabandiera dell’intero centrodestra». 

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Come a dire: il braccio di ferro con il nemico-amico Matteo Salvini è ormai storia passata ed ora si marcia uniti e compatti «per ottenere un risultato storico». Anche il leader del Carroccio sarà qui nelle Marche a rimarcare la ritrovata armonia. «I partiti sono diversi ed è normale che discutano, ma siamo affetti stabili», ci scherza su. Le prime parole del suo intervento, la leader di Fratelli d’Italia le spende per ringraziare gli alleati di Lega, Forza Italia e Udc, ma poi vira subito sulla ricetta per «ricostruire questa regione», introdotta dal padrone di casa Carlo Ciccioli, coordinatore del partito marchigiano. 

Parte dal ben noto tallone d’Achille, le infrastrutture, sempre molto gettonate in campagna elettorale, sia a destra che a sinistra. Un isolamento non più sostenibile «perché non è possibile che nel terzo millennio, la via più veloce per raggiungere Roma da Ancona sia il pullman. Tra un po’ andremo a dorso di mulo», ironizza. E poi alza il tiro, parlando della necessità di maggiori investimenti sul turismo: «se penso a questa regione, penso alla manifattura ed all’operosità, ma non al turismo. Non esiste un marchio Marche». Doveroso passaggio sulla ricostruzione, ancora al palo a quattro anni dal sisma, ma il simbolo dell’immobilismo regionale, Meloni lo individua nel cantiere maledetto del nuovo Inrca, dove già nel 2015 fece tappa con Acquaroli per la campagna elettorale che lo vide arrivare terzo: «in cinque anni non è cambiato praticamente niente. Se vincerà Acquaroli, tra cinque anni ci sarà l’opera che doveva starci». 

Un cambio di passo, dunque, il succo della ricetta meloniana: «non veniamo qui a proporre, come fa la sinistra, assistenzialismo e reddito di cittadinanza. Veniamo qui a parlare di infrastrutture, della capacità di combattere il dissesto idrogeologico, di come si possa aiutare la piccola e media impresa, che qui è un’eccellenza». Una stoccata di fioretto – che sa più di pugno da boxeur – la riserva agli avversari, ritenendo ilare il fatto che «la sinistra si nasconda, prende Mangialardi e fa finta che venga da Marte e che non sia perfettamente inserito nel sistema di potere di chi ha governato la Regione. Vai sul suo sito e non ci sono i simboli, perché si vergognano pure loro e hanno ragione».

Ad applaudirla, molti volti noti della politica marchigiana, come i consiglieri regionali della Lega Zaffiri e Zura Puntaroni, il coordinatore provinciale per Ancona di Forza Italia, Silvetti, ed il gotha dei Fratelli d’Italia made in Marche: dalla capogruppo in Consiglio Leonardi, passando per il sindaco di Ascoli Fioravanti ed il suo predecessore Castelli, fino all’ex sindaco di Fermo Di Ruscio ed all’ex consigliere regionale Zinni. L’ultima stoccata strappa l’ovazione: «Le Marche non sono una sede del Pd».

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