La direttrice del pronto soccorso/Obi di Torrette, Contucci: «Serviva il lockdown a ottobre. Mi rifiuto di andare per il corso. Marzo e aprile, sarà durissima»

La direttrice del pronto soccorso/Obi di Torrette, Contucci
La direttrice del pronto soccorso/Obi di Torrette, Contucci
di Andrea Taffi
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Lunedì 1 Marzo 2021, 05:05 - Ultimo aggiornamento: 15:50

Dottoressa Susanna Contucci, direttore del pronto soccorso e osservazione breve intensiva, cosa vede un operatore di prima linea in questa terza ondata?


«Vede da tre settimane un incremento degli accessi e il cambiamento della tipologia di pazienti Covid, poi consolidatasi nei giorni successivi. Che poi ha portato all’aumento dei posti Covid in azienda con l’ampliamento della zona Covid 4 eun sovraccarico per noi. Abbiamo dovuto disfarci della Obi e trasformarla in area Covid. Siamo arrivati a punti di 19 accessi Covid al giorno quando la media era 10».

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È vero che i pazienti Covid sono più gravi?
«Confermo.

Un maggior numero di essi necessità di ricovero e sono ricoveri lunghi qualche volta. Per questo i reparti spesso raggiungono la saturazione: spesso finiscono in subintensiva, poi nelle post acuzie. Oggi siamo a 16 accessi».


È vero che il sistema regge ma gli operatori sono in difficoltà?
«Per fortuna il tampone antigenico rapido e quello molecolare rapido ci danno una grossa mano: riconosciamo subito i casi. Non riconoscendo le sequenze, attività del laboratorio di Virologia, posso dire che la situazione è sotto controllo : siamo meglio organizzati dello scorso anno ma quest’anno non abbiamo solo accessi covid ma un gran numero di accessi extra».


Perché non siamo in lockdown?
«Esatto. La gente continua ad andare in giro, si fa male, ci sono gli incidenti. E poi non ci sono stati follow up su altre patologie, prevenzione, visite. Vediamo un complessivamente un numero inferiore di accessi ma ci sono grande percentuali con priorità elevata».


Quindi il carico è cresciuto.
«Spesso in alcune ore le attese sono lunghe e ce ne rammarichiamo tanto. Ma noi siamo sempre cinque medici, possiamo redistribuirci ma sempre cinque rimaniamo. Facciamo i salti mortali, siamo stanchi sì. Che la terza ondata stesse arrivando quasi la sentivamo nell’aria. La seconda aveva colpito le province meridionali questa è toccata a noi».


Cosa vede per il futuro prossimo, cosa sente il professionista per le prossime settimane?
«A dicembre c’era il vaccino che dava fiducia, le notizie sulla scarsità delle forniture hanno remato in direzione opposta. Direi che ci aspettano due mesi, marzo e aprile, difficili».


La madre di tutte le riflessioni e con il senno di poi: bisognava chiudere a novembre.
«Io direi anche prima perché è da ottobre che è ripartita la seconda ondata. Sono perplessa per i comportamenti della gente. Mi sento quasi dissociata tra quello che viviamo noi qui dentro e chi sta fuori che evidentemente fa difficoltà a comprendere. Le racconto un episodio sull’imbarazzo che vivo».


Prego.
«Qualche giorno fa ho evitato di andare per il Corso per non vedere tutta quella gente che girava in centro».


Una pessima storia.
«E meno male che medici di base e usca hanno fatto un lavoro incredibile. Tra quelli che abbiamo visto notiamo età più giovane e quadri clinci più gravi. ecco parlerei di quadri impegnativi. Direi che noi e il virus ci stiamo di nuovo studiando a vicenda». 


Potesse prendere un megafono cosa direbbe?
«Solo una cosa: il virus lo combatte chi sta fuori, non con chi sta in ospedale. e lo si combatte rispettando le regole, non nuove regole, quelle di sempre».

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