Marche, gli esperti sulle crisi. Iacobucci: «La cassa integrazione non risolve». Carboni: «Si riduce il prestigio della classe dirigente regionale»

I professori Donato Iacobucci e Carlo Carboni
I professori Donato Iacobucci e Carlo Carboni
di Martina Marinangeli
5 Minuti di Lettura
Sabato 2 Ottobre 2021, 04:50 - Ultimo aggiornamento: 15:25

ANCONA - Le grandi crisi delle aziende marchigiane secondo il parere di un economista (il prof Donato Iacobucci) e di un sociologo (il prof Carlo Carboni). Un'apporofondita analisi sui motivi che hanno portato aziende storiche, che hanno fatto grande il territorio regionale, a ridimensionamenti o cessioni. Ecco le due interviste.

Il prof Iacobucci, docente di Economia: «Pochi strumenti per affrontare certe situazioni»
 

Professor Donato Iacobucci, docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni, i grandi marchi che hanno reso famosa la nostra Regione nel mondo stanno subendo battute d’arresto: l’ultima in ordine di tempo è la IGuzzini che annuncia 103 licenziamenti, ma la lista è lunga. Quali sono le ragioni?
«Sotto certi punti di vista, le crisi aziendali non sono una peculiarità della nostra regione, perché ce ne sono diverse in Italia e sono il risultato del fatto che veniamo da un decennio in cui si sono succedute situazioni di stagnazione o recessione, e comunque di crescita molto lenta.

Il contesto non è stato favorevole, e adesso è arrivato anche lo shock del Covid. Probabilmente dobbiamo aspettarci che queste crisi diventino più frequenti e il tema è se abbiamo gli strumenti adatti per affrontarle».

Che strumenti servono? 
«Dobbiamo gestire le crisi in modo che ci sia il minor impatto possibile, soprattutto sui lavoratori, che potrebbero essere ricollocati in altre attività. Dovremmo favorire questo processo in modo efficace. Invece gli strumenti di cui disponiamo, come la cassa integrazione, sono più orientati ad una difesa statica, che però non risolve il problema». 

Se questo riguarda tutto il Paese, le Marche hanno delle criticità peculiari?

«Qualche problema strutturale questa Regione ce l’ha. Per esempio, la governance aziendale spesso familiare e quindi poco managerializzata, con modelli gestionali non sempre avanzati. In più, con l’accelerazione che c’è stata nell’ultimo decennio sul tema dell’innovazione (si pensi alla transizione digitale, per esempio), qualche ritardo le nostre imprese l’hanno accumulato e lo stanno scontando».


C’è anche un problema di ricambio generazionale, a suo avviso?
«Per ogni azienda, a prescindere dai modelli di governance, ci sono dei cicli vitali inevitabili. Dunque ci può sempre essere una situazione di crisi. Però, indubbiamente, più l’azienda è strutturata e managerializzata, e meno questi passaggi si rivelano traumatici».


Guzzini preferì vendere l’azienda.
«La storia della iGuzzini poteva anche essere raccontata al contrario. Poteva avere la forza di diventare il gruppo a fare acquisizioni in giro per l’Europa. La debolezza in termini di governance familiare, a volte, ha rallentato la possibilità per le aziende di giocare un ruolo rilevante».

Il prof Carboni, docente di Sociologia: «Cambia la proprietà e anche la strategia»

Professor Carlo Carboni, docente di Sociologia all’Università Politecnica delle Marche, che idea si è fatto sulla situazione della IGuzzini, ennesimo fiore all’occhiello marchigiano che subisce una battuta d’arresto? 
«La Guzzini è una di quelle aziende del territorio a pieno titolo: nata e cresciuta nelle Marche, con governance per lungo tempo marchigiana e reclutamento dell’occupazione nel territorio. Questa crisi mi ha sorpreso: sembrava il discorso fosse impostato su un rafforzamento generale dell’azienda. Appare come un copione seguito anche da altre imprese radicate nel territorio che, una volta in mano di società straniere, operano scelte di riduzione del lavoro».


Gli interessi sono diversi.
«In questi casi c’è più che altro un cambio di strategia aziendale, non più decisa dalla governance locale. E così arrivano le docce gelate come quella a Recanati».

Ed il territorio perde pezzi.
«Non solo sono stati ceduti alcuni gioielli dell’imprenditoria marchigiana, ma ci sono effetti sull’occupazione. Crescere economicamente, per poi trovarsi con problemi occupazionali, significa non aver recuperato».


Si può parlare di un “caso Marche”?
«Un certo modello marchigiano ha avuto grandi difficoltà nel passaggio generazionale. È inutile negarlo: è stato un problema per la Indesit e lo è per IGuzzini. Probabilmente il protagonismo di alcuni imprenditori è stato così grande che forse i figli non hanno avuto la stoffa o la dovuta preparazione per fare questo passaggio di consegne».


Dobbiamo abituarci a vedere i grandi marchi regionali sgretolarsi a causa del difficile passaggio di testimone tra generazioni?
«Il passaggio avrebbe potuto concretizzarsi anche attraverso la figura di un manager in grado di portare avanti l’azienda, come alcuni imprenditori hanno fatto. La ricetta era preparare le nuove generazioni di famiglia, e si sarebbe dovuto fare prima. Nonostante le Marche siano una regione industriale, manca la guida di quei grandi imprenditori che hanno dato prestigio al tessuto produttivo».


Le perdite sono su diversi livelli.
«Sì. A livello di governance, di occupazione che si riduce (come nel caso di IGuzzini), ma anche di riduzione del prestigio della nostra classe dirigente regionale. Però va anche sottolineato che, per molte imprese che entrano in crisi, ce ne sono altrettante, magari in settori diversi, che iniziano e crescono».

© RIPRODUZIONE RISERVATA