Marche condannate all’oblio. Guzzini duro: «Addio Frecciarossa? Blocchiamo la ferrovia»

Adolfo Guzzini
Adolfo Guzzini
di Maria Cristina Benedetti
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Lunedì 1 Marzo 2021, 03:05 - Ultimo aggiornamento: 10:05

La riscossa non passa per gli scranni della politica nazionale rimasti a secco di marchigiani. No. È un viaggio di andata e ritorno, lungo la direttrice più veloce che i sindaci vorrebbero tracciare. «Siamo super-partes. Una volta eletti apparteniamo al territorio di cui conosciamo tutto, ogni esigenza». Simone Pugnaloni, tra le righe di un post, indica quel percorso ideale: «Dobbiamo sederci al tavolo per trattare direttamente sulle risorse del Recovery fund, i 209 miliardi che ci sono stati destinati».

Piazza le infrastruture al primo punto: «Ha sacrosanta ragione Massimo Ubaldi, l’imprenditore che è presidente di Ance Ascoli: ieri sulle colonne del vostro giornale ha detto che ormai ci chiamano l’Italia dell’Est». Parla da primo cittadino, di Osimo, ma soprattutto da responsabile della Commissione Lavori pubblici dell’Anci Marche. E va al contrattacco: «Mi farò promotore di un incontro presso il ministero, perché gli investimenti in opere pubbliche sono un volano per l’economia del nostro territorio». 


Riordina i passaggi: «Chiederò, al fianco della presidente Valeria Mancinelli, un incontro al nostro leader nazionale Antonio De Caro per sostenere la gestione diretta dei grandi fondi europei».

La sua speranza? «Che sia ancora tempo per le Marche di avere un rappresentante di governo». Non esce dal tracciato delle infrastrutture e punta dritto alla casella del sottosegretario. 


La riscossa, no, non passa per gli scranni romani. Anche Adolfo Guzzini, che della luce ha fatto impresa e strumento di innovazione sociale, non delega. Attacca. «Dobbiamo prendere qualche iniziativa forte. Per ridare alle Marche piena dignità». Ed è più sentimento che rabbia. «Abbiamo subito in silenzio tante inequità». Basta. «Ci vogliono le maniere forti. Ci hanno tolto il Frecciarossa? Blocchiamo la ferrovia». Scende sui binari, il capitano d’industria recanatese, e non aspetta la politica. Non più. «Abbiamo un brutto difetto. Siamo troppo chiusi e subiamo quello che c’è di peggio nella realtà. Ma siamo stati forti». Va indietro nel tempo: «Abbiamo avuto buoni rappresentanti politici. Penso all’epoca di Forlani, ma anche allora era difficile arrivare alla sostanza». Passa oltre, per dimostrare ciò che non torna. «Quando Mario Baldassarri, ex vice ministro dell’Economia, ebbe l’idea geniale di realizzare la Quadrilatero, il sistema viario che avrebbe collegato Marche e Umbria, l’allora governatore D’Ambrosio, con tutta la sinistra, si mise di traverso». La sintesi: «Ci facciamo del male da soli». 


È un vuoto che non perdona per Nando Ottavi, past presidente di Confindustria, con la sua Simonelli una vita nel mondo del caffè. «Sono anni che manca una rappresentanza, il che ci fa perdere competitività». Il motivo? «La classe politica è molto meno qualificata». Lontani i tempi di Fabriano ch’era nei gangli del potere. «I personaggi di oggi pensano all’oggi facendosi sfuggire il futuro». Vale per la scena nazionale, ancor più nelle Marche. «Ricordo - imprime il ritmo - quand’ero al vertice di Confindustria regionale, era tra il 2012 e il 2013. Già allora esprimevo l’urgenza di cambiare passo, altrimenti il nostro territorio avrebbe rischiato di non essere agganciato alle regioni del nord, bensì a quelle del sud. Ed è ciò che sta accadendo». Le infrastrutture per lui sono una cartina di tornasole. «Negli anni Settanta si ragionava sulla necessità di fare strade». Asfalto. «Pedemontana e intervallive. E oggi siamo ancora qui a dirci le stesse cose, mentre l’Italia e il mondo intero parla di autostrade telematiche». 


Resetta le priorità Paolo Andreani. Nel 2011, quand’era presidente regionale di Confindustria, disse: «Senza strade e reti internazionali le nostre imprese sono isolate». Ora no. «Adesso conta solo venir fuori dalla pandemia. Quei milioni che dovrebbero arrivare dall’Europa come li hanno definiti? Bocca di fuoco? Chissà quando giungeranno. Intanto molte aziende sono in crisi, l’occupazione trema. Siamo in una situazione ibrida». Peggiorata dal fatto che a Roma non c’è nessuno a fare da cassa di risonanza alle urgenze che ormai sono le emergenze. «Ma questa è una terra da 650mila persone, tanti sono coloro che lavorano e producono, come la provincia di Varese». Riavvolge il nastro del passato prossimo. «Abbiamo avuto l’epoca di Forlani, poi più niente». Ricorda quando eravamo la seconda regione con la maggiore densità manifatturiera in Italia, la quattordicesima in Europa. «Oggi tutte le piccole e medie imprese stanno sparendo». Ancora ci spera: «Mi auguro che la squadra di governo che ora siede a Palazzo Raffaello riesca a ottenere ciò che altri non sono riusciti a ricavare». Ottimista? «Tutt’altro, se non si viene fuori dalla pandemia. Se avessimo già immunizzato il 60% della popolazione si sarebbe potuto parlare di futuro. E invece».

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