La dottoressa Cerutti, direttrice della Divisione dell’ospedale di Torrette: «Altri 10 posti in rianimazione e sono già stati tutti occupati. Troppa gente in giro»

La dottoressa Elisabetta Cerutti, direttrice della Sod di Anestesia e Rianimazione dell ospedale di Torrette
La dottoressa Elisabetta Cerutti, direttrice della Sod di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Torrette
di Martina Marinangeli
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Domenica 14 Marzo 2021, 06:40 - Ultimo aggiornamento: 09:45

Dottoressa Elisabetta Cerutti, direttrice della Sod di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Torrette, l’impennata di ricoveri ha richiesto una riorganizzazione interna per fare posto ai pazienti Covid: come state procedendo?


«Abbiamo attivato 10 nuovi posti letto di terapia intensiva, che sono già tutti pieni perché abbiamo ricoverato alcuni dei pazienti in attesa al pronto soccorso. Per far fronte al numero molto consistente di ricoveri, stiamo anche ragionando sulla realizzazione di ulteriori posti di semi-intensiva, probabilmente nell’area del blocco operatorio».

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In questa terza ondata, Torrette si trova nell’occhio del ciclone.
«In effetti è così.

Nella prima ondata eravamo noi a prendere in carico i pazienti da Marche Nord: ricordo che una notte abbiamo ricoverato sei malati Covid provenienti dall’ospedale di Fano. Ora invece si sta verificando il contrario».


Qual è l’impatto sull’attività ordinaria dell’ospedale? 
«Come ospedale Dea di II livello, cerchiamo di mantenere operative le specialità: abbiamo 16 posti di terapia intensiva non Covid e stiamo continuando a garantire le attività di traumatologia, i trapianti, la gestione di infarti ed ictus. A differenza della prima ondata, però, ora non c’è il lockdown a limitare gli incidenti: a marzo dell’anno scorso, il personale sanitario che operava nei posti intensivi non Covid era stato spostato per la maggior nei reparti dedicati ai pazienti affetti dal virus perché si verificavano pochissimi traumi. Oggi non è così».


La situazione, dunque, è ancora più critica dello scorso anno?
«Nel marzo 2020, avevamo avuto un picco di ricoveri, che poi era iniziato a decrescere dopo l’introduzione del lockdown. Ora invece abbiamo assistito ad una crescita costante durata mesi e ad un’impennata negli ultimi giorni».


Impennata che si è verificata, oltretutto, a reparti già pieni: secondo lei, sarebbe utile un altro lockdown come quello del 2020 per ridare ossigeno agli ospedali?
«Il lockdown sarebbe stato utile un mese fa, facendolo ora saremmo già in ritardo. Chiaramente, questo è il mio punto di vista da medico: mi rendo conto che poi ci sono tanti altri aspetti da prendere in considerazione per una decisione del genere».


La zona rossa può essere la risposta? 
«Non mi sembra. Ho l’impressione che ci sia ancora molta gente in giro».


Questa terza ondata poteva essere prevista ed evitata?
«Avremmo dovuto capire che saremmo andati incontro ad una notevole crescita dei contagi quando abbiamo individuato i primi casi di variante inglese. Guardando ciò che stava accadendo in Gran Bretagna, dove aumentavano positivi e decessi, era chiaro che la stessa cosa si sarebbe verificata anche da noi. Come era stato un anno fa con la Cina».


Non impariamo dagli errori, insomma.
«In generale, come Italia, mi pare di no». 


Ha notato variazioni nella tipologia di paziente e nella severità della malattia rispetto alla prima ondata? 
«Ci sono molte più donne, rispetto alla prima ondata in cui la maggior parte dei pazienti erano uomini, e diversi soggetti con poche o nessuna patologia. Si è anche abbassata l’età rispetto ai ricoveri del marzo 2020. La malattia appare più severa, ma le ragioni potrebbero essere diverse: non sappiamo se sia perché le varianti sono più aggressive, o se è per l’uso del cortisone, o per altro».

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