Bernacconi, primario di Rianimazione a Jesi: «Serve responsabilità individuale ma bisogna anche correre con i vaccini»

Bernacconi, primario di Rianimazione a Jesi
Bernacconi, primario di Rianimazione a Jesi
di Maria Cristina Benedetti
4 Minuti di Lettura
Martedì 9 Marzo 2021, 10:12

Sposta il limite in avanti, per non arrendersi. Tonino Bernacconi definisce il metodo: «Serve a trovare la soluzione migliore. Sempre». Fissa il principio irrinunciabile, il primario di Rianimazione del Carlo Urbani di Jesi: «Senza responsabilità individuale è tutto inutile». 

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Le corsie riescono ancora a reggere l’onda d’urto di un virus che avanza, inesorabile? 
«Siamo entrati nella fase tre. Sabato, nel mio reparto, è stato occupato per la prima volta il quindicesimo letto.

L’ultimo a disposizione, almeno per ora».


Cosa significa?
«Che non conosco il limite, ma voglio spostarlo più in là. In emergenza è così, si va oltre per trovare la soluzione migliore. È fondamentale. E poi io sono un primario, alla guida di 40 infermieri e 15 medici».


Vietato scoraggiarsi? 
«Assolutamente. Se sarà necessario attiveremo il sedicesimo e anche il diciassettesimo posto. Non possiamo crearlo quando non serve, ma siamo pronti a farlo, subito, in caso di necessità. Inoltre siamo un nodo di una rete regionale molto efficiente. Tra ospedali siamo tutti collegati».


Il ritardo con cui si è ricorsi alla zona rossa tuttavia non ha aiutato? 
«Non si possono scaricare tutte le responsabilità sulla politica, che ci ha dato delle indicazioni, che senza la prudenza sono vane. In assenza di una presa di coscienza personale tutti quei colori servono a poco. Vedo in giro cose che non avrei voluto vedere». 


Cioè? 
«Preferisco procedere all’incontrario. Nel mio ospedale, nonostante l’alta esposizione al rischio, in pochi si sono contagiati». 


La sicurezza, dunque, è figlia della consapevolezza? 
«Innanzitutto». 


Ora procediamo per comparazione. Siamo dove eravamo lo scorso anno? Quali differenze e quante analogie vede?
«I numeri questa volta riguardano tutta la regione, nessuno è escluso. Lo scorso marzo aiutavamo soprattutto Pesaro e dintorni che erano sotto scacco del virus. Oggi siamo messi peggio perché è diffuso, geograficamente, ovunque».


Ci ha travolti? 
«No, mai. Rifiuto questo termine. Non lo ha fatto un anno fa e non riuscirà a farlo neppure adesso. Ci sono i margini per pensare di farcela. Ripeto: se sarà necessario attiveremo il sedicesimo e anche il diciassettesimo posto letto. Sposteremo il limite». 


Un filosofo. 
«Quella che stiamo vivendo è una grande emozione, lo ammetto, talvolta mista a rabbia. Sì, spesso piango. Ma essere al centro dell’attenzione, alla ribalta nazionale, dà il coraggio per andare avanti. La vicinanza della popolazione è linfa per noi». 


Torniamo sulla terra. Ha fiducia nell’accelerazione impressa da Mario Draghi sul fronte dei vaccini? Porterà a dei risultati?
«Mi conceda una premessa».


Prego.
«Ritengo molto importante la scelta fatta dal neo presidente del consiglio: l’aver nominato il generale di corpo d’armata Francesco Paolo Figliuolo nuovo commissario straordinario per l’emergenza Covid-19. Un militare, che è un po’ come me: deve fare delle scelte e assumersene la responsabilità»


E i vaccini?
«Sono la speranza che mi sorregge. Non c’è altra cura. Bisogna somministrare quelle dosi il più possibile e nel minor tempo pensabile. Anche di notte». 


La variante inglese ha spiazzato? 
«Il brutto è che utilizza i giovani per diffondersi meglio: loro si ammalano meno, ma trasmettono molto. Era prevedibile: come ogni essere vivente, anche il Coronavirus cambia, muta, si adatta per continuare a esistere. Vale anche per le piante». 


Cosa vede, clinicamente, nel suo reparto dove la vita è la conquista più importante? 
«Nella prima fase della pandemia l’età media delle vittime si assestava sui 67 anni, oggi sui 64. Quattro anni sono tanti, troppi. Ribadisco: siamo messi peggio di allora».


Ha paura? 
«Sì, ma rende più coraggiosi, aiuta a difendersi. Non significa scappare».

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