Il geologo Farabollini: «Alluvione, non è sfortuna: prevenzione assente»

Il geologo Farabollini: «Alluvione, non è sfortuna: prevenzione assente»
Il geologo Farabollini: «Alluvione, non è sfortuna: prevenzione assente»
di Maria Cristina Benedetti
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Sabato 17 Settembre 2022, 01:45 - Ultimo aggiornamento: 15:09

Non assolve, Piero Farabollini. «La prevenzione è assente, non parliamo di sfortuna». Il presidente dell’Ordine dei Geologi delle Marche non si trattiene: «Se qualcuno non lo avesse ancora compreso, il clima è cambiato». 

Uccide. Nel 2022 si può morire di pioggia?
«Terremoto o acquazzone non fanno la differenza. Se avessimo le strutture adeguate a resistere a queste calamità non ci sarebbero né danni, né vittime. In sintesi, va pianificata l’attività antropica di un territorio». 

 

Possibile che non sia stato previsto, nelle zone dove si stanno contando i morti, un evento temporalesco così estremo? Chi ha sbagliato?
«L’allerta meteo in realtà è scattata nelle zone 1 e 3, nell’area montana del Pesarese e dell’Anconetano.

A Cantiano, in pochissime ore, sono caduti 440 millimetri di pioggia, la quantità di sei mesi. Questa piovosità, che ha interessato il reticolo idrogeologico del Misa, si è riversata a valle come un’onda di piena. Ha stravolto la zona 4, quella più vicina all’Adriatico». 

Quindi non è stato sottovalutato l’evento, ma le conseguenze.
«Esatto». 

Sbigottiti sì, ma non sorpresi. Siamo sotto attacco degli stravolgimenti meteo dopo anni di mancati investimenti nella sicurezza idrogeologica. Concorda?
«Assolutamente. La prevenzione è assente e ribadisco: non parliamo di sfortuna. Se il fiume non è nelle condizioni di sopportare un deflusso così importante non è questione di destino nefasto». 

Il nubifragio non è stato centrato sui radar, ma gli allagamenti e le esondazioni si sarebbero potuti mitigare? Soprattutto a Senigallia dove il Misa esondò già nel 2014, quando le vittime furono tre.
«La tragedia è che accade ancora. Sono passati otto anni e da allora non sono stati innalzati gli argini a monte del centro abitato, non s’è dragato il fiume a valle, non sono state realizzate le vasche di laminazione o di espansione. Tutti interventi necessari per la messa in sicurezza».

Quanto la pianificazione urbana può incidere sugli esiti nefasti di questi sconvolgimenti atmosferici? 
«È un passaggio essenziale. Vanno realizzati i canali di scarico, le sezioni fluviali, i tombini. Non sono più adeguati».

La cementificazione acutizza il danno?
«Certo, perché velocizza il deflusso dell’acqua che cade. Rende molto più rapida la sua corsa verso valle, generando la piena: non si distribuisce nel tempo, arriva giù a picchi elevati». 

Le condizioni atmosferiche sono cambiate, dunque il nostro approccio si deve adeguare. Come?
«Con la manutenzione ordinaria della rete idrogeologica principale e secondaria del fiume. Poi vanno adattati ponti, canali, sottopassi, attraversamenti».

Perdoni l’insistenza: chi sbaglia? 
«Ovvio: chi non prende coscienza della realtà alterata, chi non fa prevenzione, chi non punta a velocizzare i passaggi burocratici per realizzare le opere fondamentali. Direi che si tratta di un concorso di responsabilità. Con il risultato che i fondi che verranno stanziati per sostenere le popolazioni colpite avranno un costo superiore alla prevenzione. Mancata. Ma su un punto non transigo».

Prego. 
«Nel Comune di Senigallia dal 2018 esiste un piano di adattamento ai cambiamenti climatici ed è stato costituito il Contratto di fiume Misa-Nevola». 

Strumenti inutilizzati? 
«Lettera morta».

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