Da Senigallia a Baghdad, l'ambasciatore in Iraq Greganti: «Qui guardano al futuro e amano la nostra terra»

Da Senigallia a Baghdad, l'ambasciatore in Iraq Greganti: «Qui guardano al futuro e amano la nostra terra»
Da Senigallia a Baghdad, l'ambasciatore in Iraq Greganti: «Qui guardano al futuro e amano la nostra terra»
di Véronique Angeletti
3 Minuti di Lettura
Venerdì 23 Dicembre 2022, 02:55

Maurizio Greganti, originario di Senigallia, da dicembre 2021 è ambasciatore d’Italia in Iraq: cosa significa svolgere un ruolo come il suo in un Paese così complesso?
«Significa portare pace, amicizia e cultura. Ovunque sono accolto come rappresentante di un Paese sinceramente amico, senza interessi nascosti, di cui si ammira lo stile di vita, la qualità dei prodotti, la creatività e la cultura».

Perché ha scelto di fare l‘ambasciatore?
«Quella per la politica internazionale e per la carriera diplomatica è una passione che avevo fin da quando frequentavo il liceo classico a Senigallia. Anche la possibilità di poter viaggiare e tuffarmi in altre realtà è una costante della mia vita».

Come si vive in Iraq?
«Si vive protesi verso il futuro. Qui la popolazione è giovanissima: oltre il 60% ha meno di 30 anni e, dopo 40 anni di gravi sofferenze, il Paese si sta incamminando verso un periodo di stabilità. La collaborazione con l’Italia, che ha sostenuto l’Iraq a livello politico, dal punto di vista della difesa e della sicurezza, nel settore commerciale e in quello culturale, può fare la differenza». 

Si è mai sentito in pericolo?
«Come ambasciatore devo ancora fare i conti con misure di sicurezza importanti perché la possibilità che le cose peggiorino non è scomparsa. Ma sono assolutamente convinto che nessuno, né in Iraq né nella Comunità internazionale, abbia realmente interesse a destabilizzare questo Paese».

Qual è stata la situazione più delicata che si è trovato a gestire? 
«Senza dubbio le giornate del 29-30 agosto scorsi. Dopo le elezioni di fine 2021, in Iraq si è aperto un lungo stallo che ha impedito la formazione del Governo.

Per 24 ore, i due principali schieramenti politici hanno tentato di ricorrere alle armi per ristabilire i rapporti di potere ma le autorità di Governo, parte della popolazione e tutta la comunità internazionale si sono opposte».

E quale il risultato più importante raggiunto?
«Direi l’aver sostenuto l’immagine dell’Italia in Iraq e aver rafforzato ulteriormente i nostri rapporti. Nel mio primo anno da Ambasciatore ho potuto accogliere in Iraq cinque delegazioni ministeriali italiane. Trasmettere il messaggio che l’Italia è attenta a ciò che accade in quest’area del mondo è molto importante. E’ lo stesso approccio in cui si inserisce il comando italiano della Missione Nato in Iraq - la più grande missione “fuori area” della Nato - che ha l’obiettivo di rafforzare le capacità irachene nella lotta al terrorismo».

In che modo i rapporti tra Europa e Paesi arabi potrebbero intensificarsi e migliorare?
«Le eccellenze italiane giunte qui in Iraq hanno sempre trovato terreno fertile, hanno contribuito a liberare nuove energie e a sostenere lo sviluppo del territorio».

Può fare un esempio?
«Il settore dell’archeologia: l’Iraq è il Paese con il maggior numero di missioni archeologiche supportate dalla Farnesina anche attraverso la nostra Cooperazione allo Sviluppo - sono 19 - e i nostri archeologi sono presenti da oltre 50 anni. Hanno ottenuto risultati straordinari».

La cultura che unisce il mondo, insomma.
«Credo che questa sia la chiave di volta: dimostrare sempre di essere al fianco di questo Paese, con un interesse genuino per la sua crescita e la sua prosperità. E’ questo il mio obiettivo di ambasciatore d’Italia in Iraq».

© RIPRODUZIONE RISERVATA