Addio a Pieralisi l’uomo innovatore che ha lasciato un segno indelebile nelle Marche

Gennaro Pieralisi aveva 82 anni
Gennaro Pieralisi aveva 82 anni
di Maria Cristina Benedetti
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Sabato 7 Novembre 2020, 01:30

JESI - Amore. La sintesi d’una vita. Amava la famiglia, innanzitutto, l’adorata moglie Marisa fino al suo ultimo respiro, una decina d’anni fa. Poi, la tecnologia, i numeri dell’economia, la sua terra. Amava le sue mitiche giacche sgargianti, le grandi sciarpe che le adornavano. “Aveva a cuore”, per principio, Gennaro Pieralisi, testa da ingegnere e concentrato di passione, ma quei palpiti l’hanno tradito ieri mattina all’ospedale di Pesaro. 

 
Un’implacabile setticemia ha avuto la meglio sulla sua tenacia d’imprenditore: la conseguenza d’un delicato intervento all’intestino, complicato anche dal virus più subdolo, il Covid. Era stato ricoverato a fine ottobre, dopo un malore, e giovedì sera le sue condizioni s’erano aggravate. Una prova, che stavolta non è riuscito a superare: domani alle 10 tornerà nella sua Jesi, nella sala del commiato proprio di fronte alla sede storica del Gruppo, in via Don Battistoni 4, con tutte le accortezze dei tempi. I funerali verranno celebrati in Duomo, lunedì alle 14,30. Il 14 febbraio, festa dell’amore, avrebbe compiuto 83 anni. Tanto per non tradire la sintesi. 

Per gli amici della goliardia giovanile, era Archimede. «Le sapeva tutte e se non le sapeva se le inventava», la didascalia di quell’epiteto, che avrebbe anticipato il senso d’una esistenza. Il presidente del Gruppo Pieralisi, nato a Monsano nel ‘38 e laureato a Pisa in Ingegneria meccanica nel ‘65, era innovatore per vocazione. Oltre a essere capofila internazionale nella produzione di macchine olearie, era riferimento, essenziale, per molte imprese chimiche che avevano la necessità di separare i solidi dai liquidi. Che fossero impianti di depurazione, di raffinazione o per la lavorazione del latte poco importava, le sue ingegnose trovate erano tecnologia pura per tutti. Una vecchia sfida, la sua, che partì da molto lontano, nel tempo e dal clamore. Iniziò col nonno Adeodato, a Santa Maria di Monsano: era il fabbro del paese, s’era specializzato nella costruzione di macchine trebbiatrici. Poi, nel primo dopoguerra, toccò a suo padre Egisto, con i fratelli Ninì e Igino, il nonno del leader delle cappe, il fabrianese Francesco Casoli, a dare seguito a quella storia intrisa di Marche. Forza delle braccia e menti brillanti. Mancavano i mezzi agricoli per lavorare la terra? La loro pensata fu di trasformare ciò che restava dei cingolati dei campi di battaglia in trattori. 


Poi furono le macchine per l’estrazione dell’olio d’oliva, e nel 1974 arrivò Gennaro, uomo solo al comando dopo la morte del cugino Gianni, con il quale fino ad allora aveva condiviso onori e oneri. Un passaggio generazionale senza alcuna smagliatura. Dalla dimensione familiare al mondo è sembrato un lampo, tanta era la naturalezza con la quale il gruppo industriale avanzava. Fino a contare 600 dipendenti, fatturati da 150 milioni di euro e filiali commerciali in molti angoli del pianeta. E scelse la Spagna, l’ingegnere, Saragozza per la precisione, per andare a produrre anche oltre confine. Lì ripropose la formula tecnologia&passione: si legò talmente a quella terra da conoscerne persino i segreti dell’idioma. Il suo vanto. 

Territorio e famiglia furono il suo mantra.

Sempre. Permise alla sorella Giannina di reagire con spirito imprenditoriale alla morte improvvisa di suo marito Ermanno. «Vendiamo, oppure...?» si domandò la giovane vedova del pioniere delle cappe aspiranti. Era il 1978. 

Gennaro permise a quell’«oppure» di divenire la trama internazionale di ciò che oggi è la Elica. Un tassello tra mille di un mosaico che mette insieme, con estro, l’Hotel Federico II di Jesi, guidato dal suo unico figlio Gabriele, con la produzione di vino. Due etichette, Monte Schiavo e Tenute Pieralisi, una cantina a Maiolati Spontini, grandi rossi e verdicchi per un milione di bottiglie l’anno. 

Le stellette sul bavero delle sue giacche colorate non si contano: Cavaliere del Lavoro, nel 2002 l’orgoglio del “Premio Leonardo” per i meriti della sua impresa, che è simbolo d’innovazione tecnologica e qualità italiana. Nel 2010 arriva il Picchio d’oro, il riconoscimento della Regione. Figura di spicco di Confindustria, Pieralisi è stato presidente della società Quadrilatero e nel cda dell’aeroporto “Sanzio”. Nel suo palmarès una posizione di riguardo è riservata alla laurea honoris causa in Scienze e Tecnologie agrarie ricevuta nel 2003 dalla Politecnica. Era componente del consiglio d’amministrazione della Fondazione Pergolesi Spontini e presidente della Federico II Stupor Mundi. Nel 2017 realizzò uno dei suoi sogni più ambiziosi: l’inaugurazione a Jesi del museo multimediale dedicato a Federico II, che finanziò con un milione di euro. Nel palinsesto denso della sua vita non manca neppure la parentesi glamour: la bella e fascinosa attrice Virna Lisi era sua parente. Una cugina, i loro nonni erano fratelli. 

Piegarsi mai, adattarsi forse. È riuscito a orientare, con la sua volontà di imprenditore, anche una brusca frenata. Lo scorso luglio, la DeA Capital ha acquisito la maggioranza del Gruppo Pieralisi Maip: la famiglia ha mantenuto una partecipazione nel capitale del 49%. E l’ingegnere ha deciso di mettere a capo dell’operazione-rilancio un manager, Alessandro Leopardi, per convertire le difficoltà in un futuro importante. «Grazie a passione, tenacia e competenza, ha guidato lo sviluppo della Pieralisi a livello internazionale». Ribadiscono quel «grazie» i suoi dipendenti, uniti nella commozione di un post. La sintesi di una vita. D’amore. 

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