Il sociologo Carlo Carboni: «Pochi geniali, gli altri ripiegati sul campanile. Ecco perché siamo qui»

Carlo Carboni, sociologo dell'università politecnica delle Marche
Carlo Carboni, sociologo dell'università politecnica delle Marche
di Andrea Taffi
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Venerdì 28 Maggio 2021, 03:45 - Ultimo aggiornamento: 5 Giugno, 22:31

Professor Carlo Carboni, docente di sociologia alla Politecnica, lei ha studiato in due momento storici differenti élite e classi dirigenti. Cosa sta succedendo nelle Marche dove piovono i commissari?
«Le Marche hanno sempre avuto una classe dirigente emersa in modo sporadico. Ad eccezione di alcune figure imprenditoriali consistenti che, al contrario, hanno superato i confini nazionali: i Merloni, Guzzini, Della Valle».

 
In che senso sporadico?
«Nel senso che si è trattato di un’élite molto poco coordinata. Cioè all’infuori di questi personaggi emergenti, la classe dirigente politica è stata molto ripiegata sul locale. E si è prodotto un dislivello. Avevi l’imprenditore di fama internazionale ma faticavi a fare emergere il politico marchigiano nelle compagini di governo». 
Dov’è l’errore, quindi?
«Il problema è che adesso quella classe dirigente dell’imprenditoria mi sembra indebolita. C’è stato un passaggio tra gli imprenditori che non ha funzionato proprio in maniera splendida». 
Quando influiscono le crisi che abbiamo attraversato come regione negli ultimi 10 anni?
«Ci sono stati molte trasformazione e non migliorative. Detto delle forze economiche in declino, quelle politiche, si sa, hanno subito i pesanti riflessi del livello nazionale. Draghi è lì perché la politica ha fallito, è stata costretta a fare passo indietro».
Però non si vedono figure come Mattei o Fuà che in altri tempi trainarono interessi, generarono respiro. Un Sabino Cassese che viene ad insegnare ad Ancona chiamato da Fuà non esiste più...
«Quella del Marchingegno era un’analisi svolta da studiosi guidata da Fuà ed è riuscita ad avere una forza di narrazione molto forte e diffusa, di cui i marchigiani erano fieri. Credo si sia persa quella serenità. E la classe politica locale con le sue debolezze non è stata mai in grado di costruire un baricentro regionale rispettabile. Ancora oggi si fatica: gran parte della politica regionale, ruota intorno a trattative di campanile».
Quando è iniziato questo declino?
«Credo con l’uscita di scena di Vittorio Merloni».
Elementi per interrompere questo corto circuito?
«Ci sono motivi per essere ottimisti. Speriamo che questo spartiacque, questo pandemic divide sia alle nostre spalle e porti con sé segni di cambiamento. Certo la politica vive un momento difficile».
Punti di leva ce ne sono?
«Io sono abbastanza critico ma non pessimista. Vedo anche imprese nuove che sorgono, vedo giovani in movimento. Ecco quello dello svecchiamento del lavoro e dell’occupazione nelle Marche è un problema notevole. Nel pubblico poi, non ne parliamo. La voglia dei ragazzi che rimangono, ce ne sono di molto bravi. Dobbiamo aiutarli più concretamente: dobbiamo diventare più digitali, abbiamo una bella sensibilità verso l’ambiente, abbiamo una terra favolosa. Sono buoni presupposti. La popolazione non si è dimenticata come si lavora, nè la sua vocazione imprenditoriale. Il Recovery plan è un’occasione, un punto di leva formidabile a condizione che si sfrutti bene».
Resta la classe politica.
«Ma la politica è il rebus. Così come è oggi a forza di autorefenzialità ha perso attrattività. Una volta capitava che imprenditori e professioni varcassero il confine. Oggi questa corsa non c’è più: la politica è una cosa troppo incerta. Così in politica a volte troviamo personaggi che forse non dovrebbero fare politica». 

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