Da Brescia e Marcianise, così i rifiuti pericolosi arrivavano fino ad Ascoli. In 7 anni la Geta ha smaltito gli scarti di aziende del Nord e del Casertano

Nel dossier della Procura la società avrebbe incassato tra i 100 ed i 120 euro a tonnellata alterando i registri e attribuendo diversi codici di classificazione. Da Lecco carichi inquinanti sopra i limiti di legge

La discarica della Geta
La discarica della Geta
di Mario Paci
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Lunedì 21 Marzo 2022, 02:00 - Ultimo aggiornamento: 14:42

ASCOLI - La discarica Geta dell’Alto Bretta di Ascoli era diventata davvero la cloaca del Nord Italia come sostiene la Procura della Repubblica di Ancona (direzione distrettuale antimafia)? A leggere dalle 450 pagine del dossier dei carabinieri assolutamente sì. Dal 2013 al 2020 sarebbero stati conferiti illecitamente nel sito ascolano, a due passi dal torrente Bretta da sempre sotto osservazione degli ambientalisti, oltre 1.700 tonnellate di rifiuti pericolosi. Ma da dove provenivano? 

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La mappa
I carabinieri di Ascoli hanno ricostruito i passaggi salienti a seguito di sopralluoghi e immagini fotografiche.

Il presunto illecito smaltimento dei rifiuti pericolosi sarebbe avvenuto mediante l’alterazione dei registri per attestare l’abbancamento in discarica. Ci sarebbe stata un’illecita attribuzione di codici Cer (catalogo europeo sui rifiuti) del pattume al fine di consentirne una gestione meno costosa e problematica. Dal 2013 fino al 2015, secondo i carabinieri, la Geta avrebbe incassato cento euro a tonnellata per smaltire un ingente quantitativo di rifiuti provenienti da un’azienda di Reggio Emilia di componenti pericolosi da apparecchiature fuori uso che però non potevano rientrare nel provvedimento autorizzativo rilasciato dall’amministrazione comunale di Ascoli. Nel 2014, secondo gli inquirenti, la Geta avrebbe invece incassato 100 euro a tonnellata anche per smaltire un quantitativo di rifiuti non autorizzati da un’azienda di Brescia. Tramite un intermediario, invece, sarebbe stato scaricato altro pattume nel 2018 di rifiuti con valori inquinanti superiori di sei volte al limite di legge di una ditta di Lecco con «un rapporto analitico falso». Stesso sistema avrebbe consentito anche a un’azienda di Piacenza, fra il 2018 e il 2019, di conferire nella discarica dell’Alto Bretta una notevole quantità di rifiuti. Nel frattempo però la tariffa era stata innalzata del 20% passando da 100 a 120 euro a tonnellata. Sempre secondo la Procura dorica in questi anni la Geta avrebbe declassato come non pericolosi «con rapporti analitici non corrispondenti al rifiuto liquido trasportato e smaltito». Altre operazioni: nel 2019 un ingente quantitativo di rifiuti classificati come “scorie della produzione primaria e secondaria di un’azienda di Brugherio in provincia di Monza e di una di Marcianise nel Casertano. Per i carabinieri la Geta «avrebbe ottenuto un triplice illecito profitto: quello costituito dal risparmio sulle spese di trattamento dei rifiuti, quello costituito dalla indebita percezione del contributo dell’ecotassa e infine l’indebito risparmio sull’Iva perchè in questi casi è prevista l’aliquota agevolata del 10% anzichè del 22%». Ma ciò che è più inquieta è che per gli investigatori la Geta avrebbe fatto affluire un non meglio precisato «quantitativo di rifiuti radioattivi».


Le perplessità
Ma su quest’aspetto il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Ancona, Carlo Masini, nel respingere un anno fa la richiesta di misure più severe per titolari e tecnici della Geta, nutre dubbi. Sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi, infatti, specifica nel dispositivo che non ci sono elementi sufficienti a provarlo, rimarca qualche incongruità sui sopralluoghi effettuati nella discarica. Più genericamente rileva che in questi anni c’è stata comunque «una gestione piuttosto disinvolta della discarica» comunque senza ravvisare reati da consentire l’applicazione immediata di misure restrittive per gli indagati. E su questo aspetto punta molto la difesa: dimostrare che se c’è stata una responsabilità si è trattato comunque di reati punibili con sanzioni amministrative, non certo con quelle penali.


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