Il nuovo partito di Renzi: chi ha detto sì
e chi potrebbe lasciare presto il Pd

Il nuovo partito di Renzi: chi ha detto sì e chi potrebbe lasciare presto il Pd
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Mercoledì 18 Settembre 2019, 13:20 - Ultimo aggiornamento: 13:29

ANCONA - La misura è colma. Le parole che hanno preceduto lo strappo di Renzi davano il senso dell’insofferenza. «Faccio un appello all’unità del Partito democratico, mi auguro che nessuno faccia una scelta incomprensibile per gli elettori». Così, Alessia Morani, lasciando Palazzo Chigi dopo aver giurato da sottosegretario, sembrava voler arginare la scissione di Matteo. Proprio lei, che al governo è arrivata appena qualche giorno fa in quota-Renzi. Non ci sta. «Il Pd è una casa plurale dove c’è spazio per tutti». Non rompe le file, non spezza equilibri, per dare vita a un nuovo progetto politico. No. «È un errore». La deputata di Sassocorvaro, avvocato di professione e democratica da sempre, è la sintesi della frangia renziana dei dem marchigiani: compatti al traguardo. Messaggio che, a otto mesi dalle elezioni regionali più delicate e rischiose degli ultimi lustri, non è per niente criptato. 

Taglia corto e sfrutta la velocità di reazione di facebook il segretario regionale Gostoli: «Sono Pd e non torno indietro». Niente di nuovo sul fronte: non è la prima volta che il partito nelle Marche aggrega sulla leadership del momento almeno il 70% dei consensi. Tant’è che il consigliere regionale Fabio Urbinati commenta tutto d’un fiato la mossa dell’ex premier: «Sono capogruppo dei democrat in Regione e attualmente sto dentro questo ruolo». Poi, frena: «Vedremo nelle prossime settimane, in particolare alla Leopolda (il convegno politico ideato da Renzi, ndr), a cui parteciperò per la decima volta». Non si scompone: «L’operazione era nell’aria anche se mi ha colto di sorpresa. Io sono stato un renziano della prima ora e sono capogruppo del Pd in Regione, un ruolo molto importante». Allontana pure l’idea che possano esserci ripercussioni in vista delle prossime regionali. «Non farei drammi». E la chiude lì. 

Non è fuori, perché, come fa notare, non c’è un fuori. Il gioco di parole è a cura di Piergiorgio Carrescia. È lui che ha raccolto le firme per le primarie nel centrosinistra in contrapposizione alla posizione dell’attuale maggioranza Pd, che vorrebbe la tacita riconferma di Ceriscioli, governatore uscente e sostenitore del segretario Zingaretti. «Per ora continuo a stare dentro ma anche io, come altri, sto riflettendo sul nostro ruolo all’interno di un partito che sta cambiando pelle». L’ex deputato anconetano ammette: «La decisione di Renzi era nell’aria, penso che sia stata coraggiosa e onesta, perché nel momento in cui si è reso conto che era più sopportato che accettato ha fatto una scelta molto più corretta di chi, in passato, è rimasto facendo fuoco amico contro i segretari in carica». Prende tempo: «Vediamo se ci sarà un’agibilità politica».

Anche l’ex deputato dorico Emanuele Lodolini parte dalle certezze: «La mia uscita oggi non è all’ordine del giorno. Resto. E mi impegnerò fino alla fine, con determinazione per l’idea originaria di un Pd a vocazione maggioritario, ovvero in grado di parlare a tutta la società, non solo ad alcuni». Poi, aggiusta il tiro: «Se invece dovesse tornare a rinchiudersi in un recinto identitario, rischio che avverto, e dovesse riaprire porte e finestre a quanti sono usciti, farò le mie valutazioni del caso». 

L’inciso: «Sono stato un renziano della seconda ora. Averlo sostenuto significa aver sostenuto una stagione di grande cambiamento nel Paese». Patti chiari. Tanta logica e pochi proclami. La parola passa a Federico Talè, consigliere Pd delegato alla Sanità: «È tutto da vedere. Quando uno litiga non è questione di torto o di ragione. Io dico che il segretario Zingaretti non ha saputo tenere dentro il Pd Calenda e Renzi, e che loro non hanno saputo starci». Lineare. Come Maurizio Mangialardi, presidente dell’Anci, l’associazione dei Comuni. Va dritto al punto: «Sto con il Pd». Non perdona: «La mossa dell’ex premier? Un grande, incomprensibile errore». 
Così i sindaci 

Nota a margine, e neppure tanto. Nessuno dei tre sindaci delle città capoluogo è renziano: non lo sono Mancinelli ad Ancona e Carancini a Macerata, che alle primarie per l’elezione del segretario hanno sostenuto Martina. E non lo è Ricci, a Pesaro, che proprio con la Morani fu uno dei primi sostenitori dell’allora sindaco di Firenze. «L’idea di una divisione di, o da, Renzi è folle - scrive Ricci su twitter - tornare a Ds e Margherita, come alcuni immaginano da tempo, sarebbe la fine del Pd e forse anche del nuovo governo. Aggregare, non dividere». Un motto rivisto e corretto dal primo cittadino dorico. Che dice: «Non esco dai dem. Ma c’è un tema aperto per il Pd e per tutti quelli che stanno tentando, anche con altre iniziative, di rispondere: cosa può e deve essere un soggetto politico progressista del terzo millennio?». Dilata gli orizzonti, fino a ridurre a un granello nell’universo gli individualismi. Fino a sfoderare il più serafico dei “guarda e passa” sul caso del suo portavoce - Francesco Fiordomo, ex sindaco di Recanati - andato (sembra) dalla parte di Renzi. «Rispetto le sue posizioni. Non viene meno la stima sul piano personale e politico».

Non è renziano, ma lapidario sì. Il governatore Luca Ceriscioli il suo pensiero lo incide a fuoco: «Un errore». Non allenta la presa: «In virtù delle scelte fatte poche settimane fa, con l’impegno di Zingaretti di tenere il Pd coeso su una opzione complicata e di grande responsabilità, mi sembra veramente una grande contraddizione aprire questo passaggio». Restringe l’obiettivo: «È chiaro che la scelta di Roma non aiuta neppure nelle Marche. Anche qui avremmo preferito un Pd unito e coeso».
D’accordo su tutta la linea, il presidente del Consiglio regionale Antonio Mastrovincenzo segue il ragionamento del governatore: «Un grave errore, una scelta che non condivido, fatta in un momento delicatissimo per la vita politica italiana». Oltre misura.
 

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