iGuzzini, l’ultima grande crisi. I big dell’economia marchigiana: «Nuove generazioni inadatte»

La sede della iGuzzini a Recanati
La sede della iGuzzini a Recanati
di Martina Marinangeli
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Sabato 2 Ottobre 2021, 04:35 - Ultimo aggiornamento: 3 Ottobre, 12:31

RECANATI - La doccia fredda dei 103 licenziamenti alla iGuzzini. La vertenza Elica con la bomba esuberi piovuta sugli stabilimenti di Mergo e Cerreto d’Esi. Più indietro nel tempo, la crisi dell’area ex Antonio Merloni. Bastano questi pochi esempi per restituire un’immagine plastica di come i grandi marchi che hanno reso le Marche famose nel mondo stiano inciampando, con criticità che spesso emergono nella delicata fase del passaggio generazionale.

«Le complessità sono tante», osserva Nardo Filippetti ex patron di Eden Viaggi e ora presidente di Lindbergh Hotels, ed amplia il ragionamento ricordando che «l’imprenditore lo fa “la fame”, quella vera, ed i suoi figli non la vivono. È una cosa che non si può insegnare.

Arriveranno ad un punto in cui perderanno tutto perché ci sarà qualcun altro con una spinta emotiva completamente diversa, che avrà “fame”. Si possono imparare regole e teorie, ma l’ansia che si prova quando si fa un investimento da 50 milioni, può far perdere la ragione. L’imprenditore deve avere lucidità ed abitudine al rischio». 


Gli esempi
Ci sono però anche aziende in cui il passaggio di testimone ha funzionato e, anzi, ne stanno beneficiando. Come la Sigma, con il presidente Alvaro Cesaroni che ammette: «sono stato fortunato. Attualmente l’azienda è condotta da mio figlio, che la sta sviluppando ed internazionalizzando. Ma non è facile: si vedono le difficoltà di tante aziende che non riescono a portare a termine il passaggio. Non basta essere il figlio del proprietario, ci vogliono le qualità e le competenze». La ricetta per “tenere botta” nonostante le tante criticità di questo periodo storico non è univoca ed ogni storia imprenditoriale di successo ha la sua. «Nel 2017 abbiamo comprato un’azienda in Cina, nel 2018 una negli Stati Uniti – ricorda Pierluigi Bocchini, patron della Clabo, azienda quotata e strutturata che opera ancora sul territorio – e quei mercati li serviamo producendo dove vendiamo. È sempre più difficile produrre in Italia per vendere all’estero. Noi siamo stati fortunati, e forse un po’ bravi, a mantenere una quota di ricavi in Italia ed in Europa tali da consentirci di mantenere un livello occupazionale nelle Marche piuttosto stabile e costante nel tempo». Imprese come Elica e Fagerhult, che ha acquisito iGuzzini, invece, «si stanno riposizionando perché molto spesso queste aziende hanno bisogno di avvicinare le produzioni ai mercati di sbocco». Il rischio concreto, dunque, è vedere sempre più aziende marchigiane migrare all’estero, lasciando “scoperto” il territorio. E per invertire la rotta bisogna «rendere il territorio attrattivo per gli investimenti italiani e stranieri». 


Il nodo competitività
Non ha dubbi Bocchini: «per ogni azienda che viene acquistata, con eventuale spostamento di parte delle proprie produzioni all’estero, auspicabilmente ce ne dovrebbe essere un’altra che viene qua ad investire. E questo accade solo se il territorio è attrattivo. È un problema di competitività del territorio». Punta poi lo zoom sulle criticità strutturali: «siamo una Regione in transizione. I dati a livello occupazionale dicono che Ancona è una delle province italiane ad aver perso più posti di lavoro nel corso del triennio 2018-2020. Sono dati allarmanti». Ma come si inverte il trend? «Sono un grande estimatore di Darwin – ironizza Abramo Levato, direttore generale dell’azienda ascolana Hp Composites, passatada start up a grande impresa -: la teoria dell’evoluzione dice che non è la specie più forte a sopravvivere, ma quella che si adatta. Perciò, come impresa, bisogna sapersi rinnovare e rivendere. Siamo reduci da un vero e proprio “cigno nero”, il Covid, che ha rimescolato tutto. È chiaro che operiamo in un mercato completamente diverso e nei mercati altamente manifatturieri, dove non c’è potenzialmente un’evoluzione rispetto a quella che è la domanda, è più facile andare in sofferenza».


Gli ostacoli
Difficoltà che deriva anche «da una fortissima concorrenza – sottolinea Angela Velenosi che, con la sua azienda, dall’Ascolano esporta vini in tutto il mondo -. Tanto di quello che sta accadendo nasce anche dal fatto che oggi ci sono Paesi aggressivi sui prezzi e sull’allocazione dei prodotti, cosa che non fa respirare le nostre aziende. La Cina e la Corea, per esempio, sono mercati molto aggressivi, con costi di produzione più bassi. Noi invece abbiamo la fortuna di lavorare nel Made in Italy: moda, cibo e vino vedono un momento di grande interesse. E se in alcuni settori ci sono licenziamenti, in molti altri c’è la possibilità di allocare personale: ovunque vada, sento imprenditori parlare di difficoltà a trovare manodopera». C’è ancora speranza.

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