Il geologo Farabollini: «Problemi noti da tempo. Basta agire in emergenza. Ripensare le aste dei fiumi e occhio alle frane»

Il geologo Farabollini: «Problemi noti da tempo. Basta agire in emergenza. Ripensare le aste dei fiumi e occhio alle frane»
Il geologo Farabollini: «Problemi noti da tempo. Basta agire in emergenza. Ripensare le aste dei fiumi e occhio alle frane»
di Martina Marinangeli
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Venerdì 19 Maggio 2023, 03:40 - Ultimo aggiornamento: 19:16
Piero Farabollini, presidente dell’Ordine dei Geologi delle Marche: la nostra regione, a soli 8 mesi da quel tragico 15 settembre 2022, è stata di nuovo colpita da un evento atmosferico estremo che ci ha messi ancora a dura prova. Il governatore Francesco Acquaroli ha stimato che per la messa in sicurezza del territorio ci vorrà oltre un miliardo. Ma da dove si deve partire?
«Dalla manutenzione degli alvei e di tutto il territorio che circonda le aste fluviali, partendo dalla foce, fino alla sorgente. Si deve fare in modo che il fiume torni ad occupare quelle aree che erano di sua pertinenza e che nel tempo sono state sottratte per urbanizzazioni e antropizzazioni».  
Come si fa in zone in cui ormai si è costruito a ridosso dei corsi d’acqua? 
«Dove l’area è completamente urbanizzata, come a Senigallia con il Misa, bisogna evitare che l’acqua arrivi in quantitativi importanti a valle e frenarla a monte. Quini o si allarga il fiume al di fuori della zona di Senigallia, o si creano le vasche di espansione. Oltra a fare opere di pulizia degli alvei e degli argini».
Basterebbe?
«Si potrebbero anche creare canali di drenaggio per far defluire le acque, oppure invasi artificiali: piccoli laghetti collinari che possono contenere acqua da utilizzare per esempio nei periodi siccitosi. Trasformando così una criticità in una risorsa. E ovviamente è necessaria la manutenzione del territorio».
Secondo lei si sta facendo abbastanza contro il dissesto idrogeologico?
«Prima c’era il Genio civile che verificava puntualmente le situazioni sul territorio che potevano comportare disagio e portava avanti la manutenzione ordinaria dei fiumi».
E oggi?
«Ormai sono 20-30 anni che non si fa più e si arriva sempre dopo l’emergenza. È mancata la prevenzione, altrimenti i fiumi non continuerebbero ad esondare sempre nelle stesse zone critiche che già conosciamo. Basta perdere tempo: dobbiamo ragionare in tempi di pace, tra un evento e l’altro».
E dove si deve intervenire in via prioritaria?
«Abbiamo una conoscenza importante di quali sono i dissesti che si potrebbero verificare nel nostro territorio. C’è il Piano Assetto Idrogeologico (Pai) che è uno strumento importante».
Se domani spettasse a lei la decisione, da quali interventi partirebbe?
«Dal ripensamento delle aste fluviali dalle aree medio collinari fino alla foce: sicuramente il Misa, ma anche il Tronto, l’Ete Vivo, il Tenna, il Potenza. Quasi tutti, nel tempo, hanno provocato eventi alluvionali. Poi c’è il tema delle frane - aggravato dall’acqua - che avvengono dove ci sono già stati movimenti e sono in fase di quiescenza. Siccome lo sappiamo, perché non interveniamo? Perché aspettiamo che succeda una tragedia? Interveniamo prioritariamente in queste situazioni al alto rischio».
Dove sono nelle Marche?
«Ce ne sono tantissime, ma alcune, le più critiche, le conosciamo da una vita. Come quella di Ancona, tutt’oggi monitorata perché si sta ancora muovendo, anche se non come nel 1982. 
Altre?
«La frana di Montelupone che ha tagliato metà del paese. Lì sono stati fatti interventi molto importanti, come un sistema di monitoraggio che ancora funziona per mitigare il rischio e tenere sotto controllo la situazione, altrimenti si torna punto e a capo».
 
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