I 90 anni di Francesco Merloni
"Il segreto è non fermarsi mai"

I 90 anni di Francesco Merloni "Il segreto è non fermarsi mai"
di Maria Cristina Benedetti
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Giovedì 17 Settembre 2015, 16:15 - Ultimo aggiornamento: 18 Settembre, 17:57
ANCONA - Niente di complicato. Il filo che tiene insieme i 90 anni di Francesco Merloni è semplice come un’armonia.





Disciplina, estrema sintesi, teorema d’impresa, condizione familiare: per l’ingegnere è un mantra e basta. Di certo è la parola che dà ritmo e senso a una mescolanza sapiente di Marche, affetti e azienda, con l’ordine dei fattori che non modifica questa lunga storia.



Da dove partiamo?

Da qui, perché c’è sempre il nuovo e sempre il meglio.



Bello. Come una lezione di vita.

È più facile, è la convinzione che non bisogna mai fermarsi. Penso sempre che c’è ancora molto da fare.



Alla chiamata del futuro risponde?

Presente. Perché le nuove generazioni migliorano quello che hanno fatto i vecchi. Cambiano i mezzi, cambia tutto. Si cresce, inevitabilmente.



Ha disattivato il tasto del pessimismo.

Non è questione di ottimismo, è il senso dell’esistere. Lo ribadisco: c’è sempre il nuovo e sempre il meglio. Mio figlio, per esempio, ha molte più conoscenze di me.



Terza generazione e passaggio del testimone centrato. Paolo, presidente di Ariston Thermo Group dal 2011, è la perfetta messa in pratica dei suoi principi.

Sono molto fiero di lui.



Cuore di padre.

No, il riconoscimento sul campo della fatica di una lunga gavetta per il mondo, di molto impegno e di tanta determinazione. Con l’indispensabile predisposizione.



Esempio di cantiere aperto?

Soprattutto aperto alle differenze. La mia è stata una gestione molto legata alle produzioni, fondamentali per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese. Mio figlio, invece, è più attento all’aspetto finanziario, una conduzione più adeguata ai nostri giorni.



Altra lezione: accompagnare i tempi, mai mettersi di traverso.

Un esercizio inutile. Paolo divenne Ad di Ariston nel 2004; sette anni dopo, nel 2011, prese il mio posto di presidente. Da allora sono rimasto nel consiglio d’amministrazione del gruppo e nel comitato strategico, sempre al vertice della finanziaria di famiglia, che ha il controllo di tutte le azioni.



Un corpo a corpo o un gomito a gomito?

Tra noi si discute molto ed è importante farlo perché è dal confronto che vengono fuori le scelte più giuste. C’è armonia.



Un mantra per spiegare l’unico passaggio generazionale riuscito ai tre fratelli, eredi del capostipite Aristide.

È sempre il momento più delicato nella storia di un’impresa. Da mio padre a noi figli è andata bene: Antonio da subito scelse un percorso indipendente; Vittorio e io abbiamo camminato insieme fino al 1994, anno in cui ero ministro, poi le nostre strade procedettero in parallelo, seguendo il criterio della minoranza reciproca: ovvero l’uno nel Cda dell’impresa dell’altro.



Semplice come un’armonia.

Un accordo, quello con Vittorio, che s’incrinò nel 2004, all’epoca della nomina di mio figlio Paolo ad amministratore delegato: una scelta contestata da mio fratello. Litigammo, ma solo dopo anni compresi che la malattia già allora stava minando la sua esistenza.



E non solo.

Esatto, se Vittorio non si fosse ammalato, alla Indesit ora si racconterebbe tutta un’altra storia.



All’immagine del fallimento dell’Antonio Merloni quale didascalia riserva?

La mancanza totale di manager. In quell’azienda era tutto Antonio, non si può gestire così.



Morale: la dinastia del bianco targata Merloni riparte da lei.

Non esageriamo, tutt’al più ricomincia dalla mia famiglia: ho tre figli e otto nipoti, quando ci riuniamo siamo in 14.



Bella forza, chissà se sarà ossigeno per Fabriano in crisi?

Mi perdoni, ma vorrei dissentire.



Prego.

È l’abitudine al benessere a togliere energie. I fabrianesi si sentono appagati: il livello dei redditi lo dimostra. Non c’è più lo spirito di iniziativa che c’era una volta.



Scusi se insisto: e la crisi?

Talvolta è un alibi. Secondo una classifica, delle dieci aziende più importanti delle Marche cinque sono di Fabriano. Il manifatturiero non è morto, occorre rimettersi in gioco.



Da protagonista assoluto dei tempi, al centro della rinascita cosa mette?

Il pensiero.



Più delle produzioni, prima del mercato?

Parte tutto dalle risorse umane.



Illuminista dell’impresa.

È vita vissuta. Ora toccherà ai giovani, sempre più spesso laureati, rimettere in moto quest’Italia un po’ addormentata. Toccherà a loro, per vocazione o per necessità.



In attesa del risveglio, compia un doppio salto politico. Precedenza al nuovo corso regionale.

Premetto: sono molto dispiaciuto per la mancata riconferma di Spacca a governatore, nei suoi dieci anni aveva fatto molto per migliorare le Marche rendendole tra le regioni meglio amministrate. Aggiungo: la politica è molto importante per la gestione del territorio.



Quindi?

Vorrei dire al neo presidente Ceriscioli di evitare di farsi influenzare dagli interessi. Attento alle contaminazioni.



Da Palazzo Raffaello a Palazzo Chigi. A Renzi dedica un... ?

Un avanti con le riforme ma con il consenso più ampio possibile: guai ai colpi di maggioranza.



Il rischio dei rischi?

Andare alle elezioni, minacciando così la lieve ripresa che narrano gli indicatori economici: le condizioni ci sono tutte.



E allora, caro premier...

Non puoi fare tutto quel che vuoi.



Il mantra.

E sì, conta sempre l’armonia.
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