Francesco Adornato, rettore di Unimc, guarda al futuro: «Vedo settembre come gli Anni 60. Offrirò caffè a tutti e tornerò a Parigi»

Francesco Adornato, rettore di Unimc, guarda al futuro: «Vedo settembre come gli Anni 60. Offrirò caffè a tutti e tornerò a Parigi»
di Andrea Taffi
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Mercoledì 12 Maggio 2021, 04:10 - Ultimo aggiornamento: 08:53

Per gli amanti dell’ottimismo, citofonare Francesco Adornato. Il rettore dell’università di Macerata cita Apollinaire per parlare di incertezza e racconta come «gli occhi sono diventati il tragitto della vita» nel tempo del camuffamento obbligato della mascherina. Immagina il prossimo settembre, dopo un’estate di vaccini, con un azzardo e pensa agli Anni Sessanta, «gli anni felici». Proprio im questi giorni l’università di Macerata ha superato per il quinto anno consecutivo i 10mila studenti. 

CHI E' FRANCESCO ADORNATO

Francesco Adornato, 69 anni, è il rettore dell’Università di Macerata. Originario della Calabria («educato in Aspromonte» corregge lui), è ordinario di Diritto Agrario ed è stato direttore di dipartimento e preside di Scienze politiche, sempre a Macerata. Ufficiale al merito della Repubblica, ha fatto parte della commissione per la riforma del ministero dell’Agricoltura.

Francesco Adornato, magnifico rettore dell’università di Macerata come cambierà il suo mondo da settembre?
«Me lo immagino vitale, spumeggiante, pieno di speranza. Con azzardo e coraggio potremmo ricostruire gli anni 60. Invece di un secondo Mezzogiorno, nelle Marche si potrebbe vivere una seconda stagione degli anni 60, gli anni felici fotografati dall’espressione icastica derivata dal film La dolce vita». 
Cosa le fa fiutare questa visione?
«Il fatto che la luce sia più forte dell’oscurità, è sempre stato così. C’è un’aspettativa di luce e di vita nelle persone, non solo nei giovani. Questa assenza di respiro, fisico e spaziale ma anche emblematico, ideale ci solleverà. Se potessi usare immagine, direi che saremo tutti una mongolfiera di massa».
Il rapporto tra il rettore e gli altri cambierà?
«La natura umana resterà sempre quel che gli scrittori hanno descritto, avrà modestie e meschinità. Ciò nonostante non riuscirà a fermare i processi, quelli oggettivi: penso alle primavere che daranno nuovo respiro, riprenderemo a presentare libri in presenza. Soprattutto, l’università riacquisirà quel tratto distintivo ed emotivamente coinvolgente che è l’esperienza in presenza».
Dovesse citare qualche fotografia smarrita in questo anno e mezzo.
«Dialogare con i professori, intendersi con un colpo d’occhio, prendere un caffè insieme, innamorarsi. Tutto il positivo della vita in un anno e mezzo è stato compresso per gli studenti, le relazioni sociali si sono rastremate. Ci sono stati episodi, non belli da interpretare, la corsa alle vaccinazioni... piccoli privilegi. Questo tempo verrà oscurato. Ci sarà una nuova Wilma Rudolph (l’atleta di colore che stregò le Olimpiati di Roma 1960, ndr)».
E le relazioni del magnifico rettore?
«Nella mia interiorità continuerò con i miei racconti di Natale, un tentativo di non recidere le radici con il mio immaginario. Fisicamente, a Macerata, credo - lo dico sommessamente - di aver introdotto uno spirito di mediterraneità in una realtà che faceva di quel misto tra timidezza, subalternità e un riserbo eccesstivo, un tratto distintivo della città. Da qui il suo essere placida e quei semitoni direi... cecoviani. Allora ho l’impressione, senza trarne vanto, di avere introdotto un pizzico di mediterraneità: uno entra al bar e offre il caffe anche a quelli che trova dentro e che sono sorpresi e anche infastiditi. È un invadenza culturale».
Lo farà? Lo ha già fatto?
«È già successo. Al mitico Pierino del bar faccio un segno che pago io quando vedo che uno entra per pagare il caffè. Pago il caffè agli ultimi con cui ho fatto amicizia, a cui c’è bisogno di dare incoraggiamento. Penso che tutto il mondo per un tempo vivrà di grande entusiasmo per il futuro immediato, per il futuro prossimo ci sarà un ritorno a una complessità plurale della vita».
Una complessità viziata dalle contraddizioni e dalle distorsioni di questo tempo? L’elastico dei vaccini, l’avanti-indietro dei protocolli.
«Faccio una premessa. Il tratto distintivo di questo tempo è stata l’incertezza. Una condizione che non giova perché le persone hanno bisogno di essere rassicurate e consolidate. C’è una poesia di Apollinaire che nel suo Bestiario cita gli animali e li allaccia ai sentimenti. Si intitola Il gambero. Fa così: “Incertezza, delizia mia/Tu ed io ce ne andiamo/Come se ne vanno i gamberi/all’indietro, all’indietro. Questo è il tempo che ho trasfigurato in versi per resistere meglio».
Quanto terrà la mascherina?
«Fin quando sarà richiesto dalla legge». 
Ma è diventata una coperta di Linus? 
«Per carità, la lascerò senza rimpianti. Oddio, per via della mascherina sono nate modalità comportamentali che volevano essere gesti di vicinanza all’altro. Per riconoscersi meglio, ci si abbassa la mascherina. All’inizio c’è un momento di perplessità per questo obbligato camuffamento. Invece quel mettere giù la mascherina è un voler farsi riconoscere dall’altro dopo tanta clausura fisica. Nel nostro caso una clausura facciale che ci priva dei gesti più empatici: il sorriso, lo strizzare gli occhi. Così gli occhi sono diventai il tragitto della nostra vita, il percorso della nostra vita viene sintetizzato negli occhi».
Un limite o un arricchimento?
«Ha arricchito di ricchezza comunicativa la vista, un organo trascurato, considerato con piattezza. Sul modello di un titolo di Garcia Marquez, L’amore al tempo del colera, farei un raccontino: L’amore al tempo del Covid per parlare dell’espressività, di come è cambiato lo slancio della fisicità. Un mondo che nonostante ci abbia reso prigionieri, ha fatto nascere nuovi segnali di espressività»
Che viaggi farà da settemrbre?
«Parigi anzitutto. La amo e la conosco come la mia città natale. Le antologie del ginnasio erano in francese. Primo ho citato Apollinaire, un non-a-caso casuale, poi ho apprezzato l’impressionismo. Poi l’Irlanda, per una ragione semplice. Sono cresciuto nel mondo contadino, ancora sento l’odore dell’erba sfalciata, del latte, anche del letame. L’Irlanda è il luogo dove respiro gli odori dell’infanzia».
Una sorta di Madeleine proustiana, per restare agli autori francesi.
«Esatto, mi riconosco in questo accostamento. Inseguo l’armonia dell’anima a Parigi e nell’Irlanda le note della mia adolescenza.Mi sollevano».
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