Export Marche, terzo schiaffo in otto anni per le imprese ma l’Europa potrà essere il salvagente

Un operaio metalmeccanico in fabbrica. L'export delle Marche paga la crisi internazionale
Un operaio metalmeccanico in fabbrica. L'export delle Marche paga la crisi internazionale
di Maria Cristina Benedetti
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Mercoledì 9 Marzo 2022, 02:50 - Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 08:42

ANCona - È il terzo schiaffo in otto anni. Nel 2014, durante i mesi dell’invasione della Crimea da parte della Russia, il rublo in caduta libera sull’euro generò il blocco delle esportazioni di calzature. Il made in Marche crollò. Nei due anni di pandemia la regione fu tra le più penalizzate d’Italia dal lockdown: per resistere agli attacchi del Covid si fermarono tutte le imprese. L’ultima sberla è cronaca: per lungo tempo si pagheranno gli effetti delle sanzioni imposte a Putin, questa volta in guerra con l’Ucraina.

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L’impatto sarà territoriale: la Valle d’Aosta non verrà certo penalizzata come la terra orlata di Adriatico, con lo skyline disegnato dai Monti Azzurri di leopardiana memoria.

La ferita è acuita da ciò che si produce e a chi si vende. Poco conta, da quest’ultima prospettiva che infiamma a est, che la prima piazza di riferimento sia la Germania. É la formula, che si ripete, a fare la differenza: scarpe più pelli, uguale Russia. Le Marche ancora una volta pagano la concentrazione del prodotto esportato e la quasi esclusività del mercato di sbocco. 


Il teorema
Un teorema tristemente già testato. Donato Iacobucci riordina gli elementi: «Il calo rilevante verso la nazione più grande del mondo c’era già stato con le sanzioni post-Crimea: prima ancora del Covid, l’export verso la Russia si era dimezzato fra il 2013 e il 2019. Da 700 milioni di euro si era arrivati a 300 milioni». Il professore di Economia Applicata presso il dipartimento di Ingegneria dell’Università Politecnica anticipa: «Per il 2021 è disponibile il dato provvisorio fino al terzo trimestre, secondo il quale si evidenzia una leggera ripresa rispetto al 2020, ma non un’inversione di tendenza. L’introduzione di ulteriori restrizioni al commercio estero con la Russia potrebbe ulteriormente penalizzare i produttori regionali». Ribadisce: «Il grosso del calo c’è già stato, è sperabile che questa situazione di difficoltà abbia indotto le imprese maggiormente dipendenti da questo mercato a diversificare gli orizzonti». 


La posizione
Tra discese e risalite, il podio non riserva sorprese eclatanti. Germania, Belgio e Francia sono da molti anni i primi paesi di sbocco per le Marche. Qualche sfumatura appena. Tra il 2019 e il 2020 le vendite sono rimaste invariate verso la Germania e ridotte dello 2,9% e del 10,1% rispetto a Belgio e Francia. Nel complesso, quello spedire merci fuori dei confini territoriali nel 2020 ha registrato una contrazione dell’11,7% rispetto all’anno precedente. Nel 2021, secondo un’analisi da confermare, si rimescolano le carte: Germania, sempre al top, poi Francia, Stati Uniti e Belgio, che perde terreno (-31%). Iacobucci arriva al nucleo: «L’export regionale è in gran parte concentrato nella Ue e nel resto dell’Europa. Siamo, invece, meno presenti nelle altre due grandi aree di mercato mondiali: Nord America e Est Asia. Una carenza che riguarda anche la presenza diretta con proprie strutture commerciali e produttive». Il prof suggerisce il passo da compiere: «Occorre un salto anche culturale. Il mercato comunitario dovrebbe essere considerato come interno. La capacità di internazionalizzazione - è la sua convinzione - andrebbe valutata soprattutto attraverso la forza commerciale e produttiva nei mercati extra-Ue».

 
Le scarpe 
Da qui al resto del mondo. Oltre all’11% di scarpe, il made in Marche mette in circolazione il 21% di prodotti chimici e farmaceutici e il 17% di meccanica. Lo stare al passo tuttavia non è un affare semplice. Mantenendo sempre il 2020 come epoca di riferimento, l’elevata contrazione di esportazioni del calzaturiero (-28,1%) ha fatto sì che il settore sia passato dal terzo al quarto posto nel panorama regionale. Una voce, questa, che continua comunque a mantenere un’alta quota in ambito nazionale: il 6,3% di décolleté, mocassini, polacchine, sandali e stivali italiani venduto nel pianeta è di manifattura marchigiana. Un piano d’osservazione che obbliga a rimodulare ancora una volta il podio: al top è sempre la Germania, con 171 milioni di euro movimentati (-19,9% rispetto al 2019); seconda la Francia con 118 milioni (-19,9%); terza la Russia con 91,7 milioni, (-11,6%). Lo scenario non era ancora di guerra. Il terzo schiaffo.

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