Il prof Iacobucci: «Il centrodestra non stravince. I democratici qui sono divisi ma decide la spinta nazionale». «Però l’affluenza alle urne resta troppo bassa»

Donato Iacobucci
Donato Iacobucci
di Maria Cristina Benedetti
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Martedì 14 Giugno 2022, 02:20 - Ultimo aggiornamento: 17:03

Le Marche come il resto d’Italia. Stessa formula: il centrodestra unito vince, i pentastellati spariscono, il Pd tiene. Donato Iacobucci premette: «L’interpretazione dei risultati locali è più complessa dei dati espressi dall’Italia tutta». Il docente di Economia Applicata all’Università Politecnica dà sostanza al concetto: «Si sovrappongono le tendenze nazionali dei partiti alle specifiche dinamiche autoctone e al maggior peso dei candidati rispetto ai partiti. Lo scenario è molto più difficile da leggere, da tradurre».

Il Pd riparte da Fabriano e Jesi. Flop M5S, regge il centrodestra. I sindaci eletti e le sfide ai ballottaggi del 26 giugno


Prof, a parte la premessa, sottoscrive la formula? 

 
«Cambierei solo il verbo per i 5 Stelle. Spariscono è un po’ forte, direi in forte ridimensionamento. Più di quanto ci si potesse attendere. Il Partito democratico invece tiene, malgrado le divisioni interne e il commissariamento».
Morale? 
«Ribadisco: l’interpretazione dei risultati locali è più complessa. Tuttavia non stupisce il punto d’arrivo, viste le dinamiche nazionali, il calo generalizzato del Movimento, che assume un particolare significato a Fabriano, città in cui i pentastellati hanno governato per cinque anni e dove hanno ottenuto un risultato peggiore rispetto alla media del Paese. Evidentemente lì vi è stata una più accentuata sfiducia rispetto alle attese di cambiamento. In gran parte deluse alla prova dei fatti».
Sul fronte dem? 
«I buoni risultati del Partito democratico a Fabriano e Jesi sembrano potersi riferire più all’andamento del partito italiano piuttosto che a quello regionale. Torno a dire: diviso e commissariato. Conta anche la qualità degli aspiranti sindaco e dei consiglieri local e la debolezza di quelli della concorrenza».
Cambio di prospettiva: Civitanova e Tolentino sono la dimostrazione della tenuta sul fronte opposto. Il centrodestra. 
«Ma non al primo turno. Vanno in entrambi i casi al ballottaggio. Non so quanto pesi la loro scarsa compattezza a tutti i livelli. Insomma vincono, ma non stravincono. Forse una maggiore compattezza avrebbe determinato un risultato migliore».
Una dovuta riflessione sull’affluenza. Scarsa. 
«A queste comunali ha votato il 55% degli aventi diritto, in calo rispetto al 60% delle precedenti amministrative. Anche nella nostra regione i delusi del sistema della rappresentanza sono in termini relativi lo schieramento maggioritario. Non possono considerarsi un partito, poiché vi è forte eterogeneità di orientamento, ma aumentano in modo considerevole la volatilità dei risultati da un’elezione all’altra».
Quindi? 
«Gli schieramenti e i partiti pesano in funzione delle percentuali sui votanti, ma dovrebbero considerare che, in queste condizioni, l’effettiva rappresentanza dell’elettorato andrebbe quasi dimezzata».
Un malcontento che, secondo lei, si converte in ribellione? 
«Non direi. Nel complesso i risultati sembrano evidenziare un voto meditato e meno di protesta. Nel quale contano la credibilità dei candidati e le proposte».
La sintesi? 
«È una buona notizia soprattutto in un momento nel quale le amministrazioni locali sono chiamate a produrre e realizzare progetti. È un’occasione unica per la quale occorrono leadership e capacità amministrativa indipendentemente dai colori politici».

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