ANCONA - La prima linea del fronte. Quella dove si sta in trincea cercando di frenare, caso dopo caso, l’effetto tsunami del Covid sugli ospedali. È il delicato compito che svolgono le Usca, Unità speciali di continuità assistenziale attive sul territorio dall’aprile del 2020, che si occupano dei pazienti contagiati dal virus a livello domiciliare. Una sottile linea rossa tra la cura tra le mura domestiche ed il ricovero, con un monitoraggio costante e una terapia declinata sui singoli soggetti.
Di recente, sono state coinvolte anche nel programma di identificazione dei pazienti per l’utilizzo della terapia monoclonale. «Le Usca rappresentano l’innovazione nella medicina del territorio, grazie ad una dotazione tecnologica di livello ed un’assistenza a domicilio sempre più qualificata: possono portare alla riduzione delle ospedalizzazioni non solo per il Covid ma in generale». Un salto di qualità richiesto dalla pandemia, come dettaglia Massimiliano Luzi, dell’Usca di Ancona Centro, ma che avrebbe senso mantenere anche una volta usciti dall’incubo. Il bando nazionale prevede una Unità – costituita da due medici – ogni 50mila persone: «alcune Regioni, tra cui la nostra, hanno investito di più e siamo leggermente sopra queste soglie previste dallo standard minimo nazionale – spiega Luzi – cosa che ci permette di assistere più persone. Per esempio, l’Usca di Ancona Centro può contare su 15 medici a rotazione per coprire i turni che vanno dalle 8 alle 20, tutti i giorni compresi i festivi».
«L’ecografia toracica permette di stadiare la patologia polmonare e dare, quindi, un quadro della severità della malattia. Nei pazienti disponoici, abbiamo anche la possibilità di fare un’emogasanalisi a domicilio, che fornisce una rilevazione più precisa del livello di ossigeno nel sangue rispetto al saturimetro». Un’indagine avanzata per stabilire se il paziente può restare a casa, sotto stretto monitoraggio, oppure necessita di ricovero. Per il monitoraggio, «chiamiamo una o due volte al giorno il paziente, a seconda della gravità della condizione, per valutare il quadro clinico ed intervenire tempestivamente», precisa Luzi. A seconda delle caratteristiche cliniche e delle eventuali comorbidità del soggetto, viene ritagliata una terapia, che passa principalmente per quattro tipologie di cura: ossigenoterapia (sia con ossigeno gassoso che liquido), eparina a basso peso molecolare, cortisone ed antibiotico.
Questi ultimi due, però, vanno usati con parsimonia. «Nelle nuove linee guida nazionali di riferimento, viene specificato che il cortisone non deve essere utilizzato troppo presto: non prima dei 5-7 giorni, a meno che non ci sia un’insufficienza respiratoria tale da richiedere l’ossigenoterapia. In questo caso, l’Aifa dice che si può usare il cortisone anche dopo 72 ore».
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