Torrette vede la luce in fondo al tunnel Covid: «La speranza è tornare alla consuetudine a fine maggio»

Torrette vede la luce in fondo al tunnel Covid: «La speranza è tornare alla consuetudine a fine maggio»
Torrette vede la luce in fondo al tunnel Covid: «La speranza è tornare alla consuetudine a fine maggio»
di Maria Cristina Benedetti
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Mercoledì 14 Aprile 2021, 08:18 - Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 10:26

ANCONA - Flessibilità, squadra e tanto impegno. Lina Zuccatosta converte il dramma della pandemia in una lezione, di vita e professione. «Durante questa seconda ondata l’ospedale regionale di Torrette non s’è chiuso per dedicarsi del tutto al Covid». Da direttore, facente funzioni, del dipartimento di Medicina interna e da direttore della Sod di Pneumologia, conduce la narrazione di una tragedia planetaria con una levità che già di per sé vale una terapia.

Dalla trincea più buia e profonda dell’emergenza sanitaria, come fa? 
«Anche nel male esiste il positivo. Ragionare così aiuta tanto. A evitare, per esempio, di compiere rinunce che potrebbero creare più danni di ciò a cui si rinuncia». 

Un inno alla fiducia, il suo. Lo trasferisca sulla campagna vaccinale, minata quotidianamente da messaggi discordanti, che non aiutano in una scelta dove la volontarietà non può prescindere dalla responsabilità. 
«Premesso che quelle dosi sono, dopo un anno speso in difesa, la vera, inestimabile, arma in più che abbiamo, ammetto che comprendo i timori di chiunque».

Astrazeneca solo ai più giovani, anzi no. Arriva Johnson & Johnson, ma gli States lo sospendono. Come districarsi? 
«Il messaggio che mi sento di mandare è, di nuovo, un appello alla fiducia.

Nessuno sta andando a fare un vaccino alla cieca, nei centri dedicati alle somministrazioni ci si trova di fronte a medici molto preparati». 

Cosa prevede? 
«Che a fine maggio saremo molto avanti con l’operazione-immunizzazione. A Torrette stiamo provvedendo ai soggetti fragili di nostra presa in carico. Noi del dipartimento di Medicina interna abbiamo già raccolto 2.600 prenotazioni. Molti hanno già ottenuto la prima dose e puntiamo al traguardo dei 3mila». 

Nell’attesa, da quattro settimane è in discesa il tasso d’incidenza della positività. Ma in corsia sarà uno svuotarsi col contagocce. 
«Sì, sarà un processo lento, ma progressivo, che ci permetterà di riconvertire tutte le attività, per tornare a essere quelli che eravamo prima del Coronavirus».

Cosa le fa credere che sia una tendenza consolidata? 
«A fine marzo, al pronto soccorso, che è una cartina di tornasole, su 20 passaggi Covid, 18 erano in attesa di ricovero. Si trattava di tutti casi estremamente critici. La pressione era fortissima».

E ora?
«Il 9 aprile erano 3 o 4 i contagiati, solo uno aspettava di essere sistemato in reparto. Ieri lo stesso rapporto era 2 a 0». 

La mossa a seguire?
«Qui entra in gioco la lezione da non dimenticare: flessibilità, squadra e tanto impegno».

Può decriptare il messaggio?
«Subito. Siamo come un elastico che si allunga o si ritrae a seconda delle necessità. Entro la settimana, per esempio, contiamo di allargarci al quinto piano mantenendo stabili al Cov4 i 36 posti ordinari e portando a 12 i letti della sub-intensiva al Cov3».

La logica della ricomposizione? 
«Noi della sub-intensiva pneumologica accogliamo i malati che erano stati sistemati nel blocco operatorio, così da permettere all’attività chirurgica di tendere alla normalizzazione». 

La differenza tra la pandemia 2020 e quella 2021? 
«Allora avevamo chiuso tutto, salvaguardando solo le emergenze e le urgenze. I corridoi erano vuoti, il piazzale qui di fronte deserto». 

L’ospedale ha reagito diversamente? È più preparato? 
«Con il massimo dello sforzo abbiamo mantenuto tutte le attività. Con il sistema modulare, l’elastico per intenderci. Abbiamo marciato su due binari, rispondendo a ogni esigenza. Non solo quelle generate dal virus. Rimandando solo il rimandabile».

La formula? 
«Collaborazione trasversale, di tutti: medici, infermieri, operatori sanitari. Multidisciplinarietà tra reparti. Una grande collaborazione con un enorme dispiegamento di energie. Ritengo che non si potesse fare di più. Ma credo che il metodo abbia pagato». 

Previsione? 
«Preferirei dire speranza». 

Prego.
«Che a fine maggio avvenga la nuova riconversione. Per riconquistare la consuetudine. Ma c’è sempre l’imprevedibile». 

Dal fronte ospedaliero, teme le riaperture? Sarà una nuova corsa all’estate, alla quale seguirà un’altra impennata della curva pandemica?
«La paura c’è. Noi stiamo lavorando ancora a pieno regime, i letti Covid sono al completo. Lo ripeto: questa volta dalla nostra parte abbiamo i vaccini. Ma il disagio sociale è altissimo. Il tentativo di tornare alla normalità non è rimandabile».

Il denominatore comune?
«Una ripartenza graduale, che agganci il tempo della massima vaccinazione. Così da ottenere l’effetto bilanciamento. In caso contrario, in un attimo si tornerebbero a riempire i pronto soccorso». 

Un post per farcela? 
«Le solite regole: mascherine, distanziamento, igiene della mani. Con cautela e fiducia si può. Gli irriducibili ci sono sempre stati. Ma in giro vedo tanto senso di responsabilità. Il prezzo pagato è stato altissimo». 

L’ottimismo come un mantra, il suo? 
«Certo, nel male esiste sempre il positivo».

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