Gioia Renzi (Residenza Valdaso): qui il paziente più piccolo ha 26 anni. «Malati giovani. Conseguenze peggiori per chi non è vaccinato»

Gioia Renzi, direttrice Residenza Valdaso-Anni Azzuri del gruppo Kos a Campofilone
Gioia Renzi, direttrice Residenza Valdaso-Anni Azzuri del gruppo Kos a Campofilone
di Maria Teresa Bianciardi
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Lunedì 6 Settembre 2021, 02:35 - Ultimo aggiornamento: 08:24

Gioia Renzi, lei è la direttrice sanitaria della Residenza Valdaso- Anni Azzurri del gruppo Kos a Campofilone, l’unica struttura nelle Marche aperta in questo momento per accogliere pazienti Covid post critici a sostegno dell’Asur. È stata un’estate complicata rispetto a quella dello scorso anno?
«Decisamente. Un anno fa, ad agosto c’erano pochissimi malati Covid, abbiamo potuto respirare dopo l’ondata pandemica. Questa volta non siamo mai scesi sotto i venti pazienti».

 
Attualmente quante persone vengono seguite nella vostra struttura?
«Fino a due giorni fa ne avevamo 48, poi ci sono state cinque dimissioni. Siamo a 43».
Anagraficamente sono pazienti più giovani di coloro che avete seguito nei mesi precedenti la vaccinazione e la variante Delta?
«Sono poche le persone over 80 attualmente ospitate nella nostra residenza. Abbiamo pazienti di 30-35, quarantenni e 50enni. Il più giovane ha 26 anni. Ma la variante Delta non è presente in tutte le infezioni da Covid, così come i malati che hanno un’età più bassa non sono ancora vaccinati. Sia perchè stavano valutando l’eventuale profilassi, sia perchè erano in attesa della prima somministrazione».
Quale è la patologia più ricorrente in questi pazienti?
«L’insufficienza respiratoria. Si tratta di persone che si infettano e vengono gestite domiciliarmente dalle Usca, ma a distanza di una settimana, dieci giorni, vengono portati nella nostra Residenza perché la situazione precipita e vengono sostenuti con le maschere ad alto flusso di ossigeno».
Sono tutti dell’Area vasta 4?
«No, sono pochi i pazienti del Fermano. Arrivano soprattutto dal Pesarese ma anche da Jesi, da San Benedetto e da Ascoli. Siamo l’unica struttura Covid aperta in questo momento e sosteniamo l’Asur mettendo a disposizione posti letto posti letto extraospedalieri supportati da personale in grado di garantire adeguata assistenza sanitaria prima del rientro a domicilio».
Attualmente state seguendo pazienti critici?
«Quattro ospiti sono in condizione critica con gravi patologie preesistenti e nei giorni scorsi abbiamo registrato il decesso di un paziente gravemente compromesso. Sono momenti difficilissimi, anche per il personale, che si prodiga ventiquattro ore al giorno per i malati, senza sosta».
Avete notato una differenza tra i pazienti Covid vaccinati e quelli senza profilassi?
«Assolutamente sì. Se sono vaccinati la sintomatologia è più breve ed il recupero fisico avviene in poco tempo. Quando ancora non era partita la campagna antivirus le persone infettate uscivano dal Covid con una situazione polmonare spesso devastante, tanto che per recuperare avevano bisogno di essere trasferiti nelle Rsa o in strutture riabilitative. Difficilmente tornavano subito a casa. Adesso per esempio, abbiamo una paziente che si è negativizzata, le sue condizioni erano molto serie, eppure ne è uscita».
In questi mesi avete anche ospitato pazienti Covid sintomatici che arrivavano al porto di Ancona?
«Abbiamo avuto gruppi di 6-7 persone, anche molto giovani, che all’attracco al porto dorico manifestavano lievi sintomi e che sono risultati positivi al tampone. Per lo più marinai e personale imbarcato nelle navi che trasportano merci, tanti anche stranieri. Sono rimasti con noi fino a quando il test non si è negativizzato».
C’è stato un momento in cui pensavate di riuscire a chiudere la parte Covid della Residenza?
«La prima settimana di luglio. La situazione sembrava essersi calmata tanto che avevo pensato di chiudere l’area ed effettuare una sanificazione extra. Ma mi hanno chiesto di aspettare poiché siamo l’unica struttura dedicata all’accoglienza dei pazienti infetti. E da quel momento non ci siamo mai fermati».

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