Giacometti, primario di malattie infettive: «Anticorpi monoclonali per combattere il virus, Marche pronte a partire»

Giacometti, primario di malattie infettive: «Anticorpi monoclonali per combattere il virus, Marche pronte a partire»
di Martina Marinangeli
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Mercoledì 17 Marzo 2021, 02:25 - Ultimo aggiornamento: 08:46

ANCONA «Arriveranno a breve anche nella nostra regione le cure con anticorpi monoclonali, una novità importante per combattere il Covid». Ad annunciarlo è stato ieri il governatore Francesco Acquaroli, durante il Consiglio regionale straordinario sull’emergenza sanitaria.

Si tratta di una profilassi da somministrare nelle fasi precoci della malattia per prevenire il ricovero e dare così ossigeno agli ospedali travolti dalla terza ondata. Scende nel dettaglio l’assessore alla Sanità Filippo Saltamartini, che fa sapere come ci siano «due progetti già approvati dall’Aifa, uno dell’azienda ospedaliera Marche Nord ed uno di Asur, Torrette e Spallanzani, con il ministero della Salute. In questi giorni, l’Aifa ci ha consegnato 133 sacche per avviare questa cura che – riferisce in aula l’assessore – viene considerata la “pillola del giorno dopo” contro il Covid».


Come funziona
In altri termini, un’arma in più nella guerra contro il virus, nell’attesa che la campagna vaccinale ingrani la marcia giusta. «A giorni potremo partire - quasi sicuramente entro il mese di marzo - e le Marche saranno tra le prime in Italia», spiega Andrea Giacometti, primario del reparto Malattie Infettive agli Ospedali riuniti di Ancona. Sono 12 le strutture ospedaliere del territorio abilitate all’utilizzo degli anticorpi monoclonali: oltre al nosocomio regionale del capoluogo, quelli di Pesaro, Urbino, Senigallia, Jesi, Fabriano, Civitanova Marche, Macerata, Camerino, Fermo, San Benedetto del Tronto ed Ascoli Piceno. Centri allestiti non solo dove ci sono i reparti di Malattie infettive, ma anche nei reparti di Medicina e Cardiologia. Ma come funzionerà? «Saranno i medici di base, quelli delle Usca o, in misura ridotta, i pediatri, a selezionare, tra le persone con tampone positivo al Covid, coloro che corrono il rischio di essere ricoverate – è sempre il dottor Giacometti a fare il punto –.

Questi soggetti potranno assumere, con infusione endovenosa, gli anticorpi monoclonali con il fine di prevenire il ricovero. Ci sarà un registro Aifa per “arruolare” queste persone, con tanto di precisazione che se il paziente mostra sintomi per più di 10 giorni, non può essere trattato con questa profilassi. Gli anticorpi monoclonali sono un po’ come il plasma iperimmune: sono antivirali funzionali nei primi sette, massimo 10 giorni di malattia.


I limiti
È più una profilassi che una cura perché viene data a chi ancora sta bene: a coloro che sono ricoverati o hanno bisogno di ossigeno, non vengono somministrati». A livello procedurale, l’infusione dura 60 minuti – è lenta perché così è maggiormente tollerabile – ed il paziente deve restare in osservazione per un’altra ora in caso insorgessero effetti indesiderati. Poi potrà andare a casa, con la speranza che si sia evitato così il suo eventuale ricovero. Gli anticorpi monoclonali possono essere utilizzati dai 12 anni in su. «Dovrebbero legarsi, in pochi minuti, ai virus circolanti – spiega infine il primario –: vanno ad impedire la diffusione del virus agli altri organi (polmone in primis, ma non soltanto). Il paziente non guarisce all’istante, ma resta paucisintomatico e non si ricovera. L’obiettivo è dare un po’ di respiro ai pronto soccorso perché gli ospedali non ce la fanno più. Se riusciamo a bloccare 100 ricoveri con gli anticorpi – conclude –, abbiamo 100 persone in meno che finiscono nei reparti».

 

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