Tibaldi: «Un positivo in classe? Tutti in quarantena 14 giorni e rientro a scuola senza tamponi»

Tibaldi: «Un positivo in classe? Tutti in quarantena 14 giorni e rientro a scuola senza tamponi»
Tibaldi: «Un positivo in classe? Tutti in quarantena 14 giorni e rientro a scuola senza tamponi»
di Martina Marinangeli
4 Minuti di Lettura
Martedì 26 Gennaio 2021, 08:33 - Ultimo aggiornamento: 8 Marzo, 16:31

Dottor Alberto Tibaldi, coordinatore del Dipartimento di prevenzione dell’Asur, con la riapertura delle scuole cambia qualcosa nel tracciamento dei casi positivi al Covid? 

LEGGI ANCHE:

«L’impostazione del percorso è la stessa.

Per quanto riguarda la gestione dei casi positivi negli istituti, sono i dirigenti responsabili dei presidi scolastici a comunicare l’intera classe che è stata a contatto con lo studente positivo». 

E tutta la classe va in quarantena.
«Esatto. L’intera classe viene considerata contatto stretto, nonostante i presidi anti-Covid, perché non possiamo sapere quant’è stato il tempo di contatto stretto che hanNo avuto e se hanno sempre usato il presidio». 
La quarantena quanto durerà? 
«Sempre 14 giorni». 
Ed alla fine dei 14 giorni sarà previsto un tampone per il rientro? 
«No. Non riusciamo a coprire questo tipo di fabbisogno, quindi anziché 10 giorni, faranno direttamente 14 giorni di quarantena. A meno che non si trovi una strategia per garantire una copertura di numeri così importanti di ragazzi da testare». 
Cosa servirebbe per approntare una strategia di questo tipo? 
«Il problema sono le risorse umane per coprire una mole di lavoro del genere, ma anche gli strumenti. Si potrebbero improntare test periodici sui presidi scolastici in maniera coordinata. Fare screening in maniera autonoma». 
Intende organizzati direttamente dalle scuole? 
«Sì. Possono fare screening periodici con test antigenici rapidi per aumentare il livello di sorveglianza, coinvolgendo, per esempio, medici di base, pediatri, laboratoristi privati. Potrebbe essere una strategia da adottare».
Una sorta di screening di massa, ma tarato sulla scuola, insomma.
«Lo screening di massa lo stiamo già facendo – si concluderà a fine mese – e riguarda l’intera popolazione. Nel caso della scuola, si selezionerebbe una fascia di popolazione precisa - quella scolastica, appunto - a cui fare test a tappeto. Si tratterebbe di coinvolgere studenti, famiglie e personale scolastico. Però c’è un handicap». 
Ovvero? 
«Questi screening non sono obbligatori, ma su base volontaria e se non si raggiunge il 70% della popolazione, l’esecuzione ha un valore relativo». 
Alla luce di ciò, secondo lei lo screening di massa è stato uno strumento utile?
«Abbiamo individuato il maggior numero di positivi asintomatici possibile in funzione di quelli che hanno partecipato volontariamente al test. È uno strumento che ci aiuta a ripulire il più possibile la popolazione da soggetti positivi senza sintomi. È una cosa fatta bene e ci crediamo, perché quelle 50-100 persone che individuiamo ogni giorno, a caduta, ci permettono anche di intercettare gli eventuali contatti stretti da mettere in isolamento. Il problema è che la bassa adesione della popolazione non ci permette di intercettare tutti gli asintomatici, per cui il problema non lo eradichiamo». 
A settembre, quando riaprirono le scuole dopo l’estate, il contact tracing saltò completamente. Cosa dobbiamo aspettarci ora? 
«In questa fase il tracciamento viene fatto puntualmente perché c’è una diminuzione importante dei casi positivi. Se poi con la riapertura delle scuole superiori dovesse aumentare la casistica, andando sopra una soglia dove non riusciamo, per ore/lavoro, a fare il tracciamento, troveremo degli escamotage come è stato fatto in precedenza per riuscire a dare comunque una risposta. Ci sono diversi strumenti alternativi da mettere in campo».
Per esempio? 
«Si potrebbe fare un tracciamento più circoscritto, anziché allargarlo ad indagini che possono coinvolgere decine di persone. Ci si dà una regola. Per ogni caso confermato, in ambito scolastico ci sono mediamente 25-30 persone da contattare: se non abbiamo la possibilità di contattarli tutti, dobbiamo darci un limite di screening. Si devono studiare modelli epidemiologici funzionali all’obiettivo». 
Uno dei problemi principali del contact tracing riguardava il numero ridotto di risorse umane che si potevano destinare a questa attività: siete riusciti ad implementare la squadra?
«Sì, sono state ampiamente rimpolpate le fila di questa attività. Siamo su qualche centinaio di persone, tra medici, infermieri e personale ausiliario impiegato per il tracciamento».

© RIPRODUZIONE RISERVATA