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È lì che si trovano gli anticorpi che, si augurano i ricercatori, potranno salvare tante vite. Perché, al momento, non ci sono cure certe per combattere il Covid-19, né tantomeno un vaccino.
«L’idea – spiega il primario di Malattie infettive, Giorgio Amadio – è di inoculare precocemente anticorpi già fatti, presi da soggetti che hanno superato la malattia, in soggetti malati». Precocemente è la parola chiave. Lo scopo, infatti, è di bloccare il virus prima che la situazione peggiori. In pratica, si vuole evitare che tanta gente finisca, come già capitato, intubata. «Il picco della carica virale – spiega Amadio – è all’inizio dell’infezione. Poi, il paziente inizia a produrre anticorpi, ma nel frattempo la malattia può fare quello che vuole».
Per valutare l’efficacia del sistema, si metteranno a confronto i risultati ottenuti sui pazienti trattati con gli anticorpi con quelli a cui non saranno inoculati. Al momento, al Murri, non ci sono pazienti che possono essere trattati. Per accelerare i tempi, i primi controlli sui potenziali donatori saranno fatti in tutti i centri trasfusionali della regione. In base all’età e alle condizioni di salute dei volontari, si capirà chi potrà partecipare alla sperimentazione. Poi partiranno i controlli mirati sui selezionati, sulla base della quantità di anticorpi presenti nel plasma. I donatori che avranno superato tutti i controlli potranno donare in uno dei tre centri che partecipano allo studio. «I potenziali donatori – fa sapere la direttrice del Centro trasfusionale del Murri, Giuseppina Siracusa – saranno divisi in due gruppi: i pazienti convalescenti e i donatori periodici che si sono ammalati e sono convalescenti. Congelato, il plasma, resiste un anno. Se non ci sono casi clinici adatti all’infusione, creeremo una sorta di banca del plasma, una scorta per un nuovo eventuale picco».
Un motivo di orgoglio per il Murri, dove la situazione è ormai stabile. Parla di «un progressivo ottimismo sostenuto da numeri», Livini. «Questa fase di relativa calma ci serve per riflettere e prendere lezione da quello che abbiamo vissuto da due mesi a questa parte», dice. Tre gli insegnamenti che il sistema sanitario dovrà trarre dal Covid, per il direttore dell’Av4. Primo: «la necessità di dover conoscere la nostra popolazione e quindi fare test sierologici, per quanto possono valere al momento, e tamponi». Secondo: «lavorare per rafforzare ancora di più il territorio, perché è lì che si combatte la malattia». Terzo: «l’importanza dell’ospedale, l’ultimo baluardo di difesa, che ha messo una pezza forte all’evento».
Su quest’ultimo punto Livini è categorico. «C’è chi dice che non si doveva sporcare – spiega –, ma credo che un ospedale è al servizio della comunità e deve essere utilizzato quando serve, anche quando sappiamo che si sporcherà. Abbiamo accettato che si sporcasse, che avremmo accolto pazienti positivi, che si potessero contagiare i nostri operatori. Perciò, non accetto il discorso che il nostro ospedale avrebbe dovuto restare pulito».
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