Il virologo Clementi: «Vaccino e anticorpi monoclonali, la doppia via per battere anche la variante inglese del Covid»

Il virologo Clementi: «Vaccino e anticorpi monoclonali, la doppia via per battere anche la variante inglese del Covid»
Il virologo Clementi: «Vaccino e anticorpi monoclonali, la doppia via per battere anche la variante inglese del Covid»
di Martina Marinangeli
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Martedì 22 Dicembre 2020, 04:05

Dottor Massimo Clementi, direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’ospedale San Raffaele, qual è la differenza tra il Covid 19 che già conosciamo e la “variante inglese”? 
«Ci sono diverse mutazioni, ma quella principale riguarda la proteina S (o proteina Spike), ovvero quella che serve al virus per entrare nella cellula che infetta. La stessa verso cui i vaccini Pfizer e Moderna determinano la risposta anticorpale».

Il fatto che la mutazione riguardi proprio quella proteina su cui agiscono i vaccini può renderli inefficaci? 
«L’Inghilterra ha già vaccinato 250mila persone, nessuna delle quali si è infettata. E la variante sta circolando molto. Questo ci dice, dunque, che il vaccino dovrebbe proteggere. Non è giustificato nessun allarmismo».

Come nasce questa variazione?
«È nata a settembre nel Kent, nel sud-est dell’Inghilterra.

Inizialmente si è evoluta piano, mentre ora rappresenta il 70% dei contagi Covid in quel Paese».

Se è nata a settembre, perché la scopriamo solo ora? 
«Solo ora è diventata prevalente. Di varianti ce ne sono tante: molte durano un giorno, altre durano di più, ma localmente. Altre ancora, come in questo caso, si fissano nella popolazione perché hanno un vantaggio. Il vantaggio di questa variante è che si trasmette più velocemente: è più efficiente, in una sorta di selezione darwiniana. Ma dobbiamo fermarci qui nell’analisi perché non abbiamo elementi per dire altro».

Per dire cosa, per esempio? 
«Non abbiamo elementi per dire che sia più patogena, o che provochi casi più severi. Per sapere questo, va prima studiata in vitro nelle cellule infettate, nel rapporto con gli anticorpi neutralizzanti, ed in vivo, negli animali e nell’uomo. Tutto ciò non è ancora stato fatto».

Sappiamo però che si sta diffondendo anche in altri Paesi.
«Presumo di sì: l’Inghilterra non è impermeabile alla diffusione. Probabilmente è già in circolo, ma non sappiamo in che proporzioni. Non l’abbiamo mai studiata in maniera estensiva, ma sappiamo che a Roma stamattina (ieri mattina, ndr) hanno fatto un accertamento nel laboratorio all’ospedale militare Celio su una coppia di recente rientrata dall’Inghilterra. Uno dei due è risultato avere in circolo la variante inglese del Covid. Comunque stanno bene entrambi e questo è già confortante».

La sostenuta rapidità con cui si diffonde potrebbe creare problemi alla campagna vaccinale in partenza in tutta Europa? 
«No, anzi: è un motivo in più per andare verso il vaccino con rapidità e convinzione. Gli inglesi hanno iniziato già da tempo la campagna vaccinale e, da quanto dicono i miei colleghi inglesi, i soggetti vaccinati non si infettano. Inoltre, se viene inattivata dagli anticorpi indotti dal vaccino, probabilmente è inattivata anche dai monoclonali che tutti, tranne l’Italia, hanno a disposizione». 

Perché l’Italia non ne dispone? 
«Non li ha ancora approvati e spero che oggi (ieri, ndr) l’Aifa dia l’autorizzazione ai monoclonali. Sono al tempo stesso farmaci molto potenti e specifici, ed elementi di profilassi: se mi inietto dei monoclonali, ho degli anticorpi - come quelli di chi è stato vaccinato - per un mese e mezzo. Sarebbe utile averli a disposizione durante la vaccinazione perché quest’ultima è efficace nel 95% delle persone. C’è perciò un 5% che non risponde bene alla vaccinazione e che non possiamo abbandonare a se stesso».

In generale, perché si sviluppano le varianti?
«Il Covid è un virus che replica molto e fa degli sbagli: la maggioranza di questi sbagli genetici rappresenta mutazioni che non si fissano, che nell’arco di un giorno spariscono. La mutazione avviene per caso ed il motivo per cui si fissa è che dà un vantaggio al virus. Ora si moltiplicheranno anche in Italia gli studi per vedere se si è diffusa questa variante».

Le varianti potrebbero implicare la necessità di vaccinarsi ogni anno come avviene con l’influenza? 
«Nella migliore delle ipotesi, vacciniamo il 90% della popolazione, il virus non circola più e finisce tutto. Se invece il virus dovesse mutare o, peggio ancora, il prossimo anno arrivasse un nuovo tipo di coronavirus, abbiamo tuttavia una tecnologia che prima non avevamo: l’Rna messaggero di cui sono costituiti i vaccini Pfizer e Moderna, che è rapidamente convertibile. Dunque, anche nell’ipotesi peggiore – ovvero che occorra modificare il vaccino o farne uno completamente nuovo – saremo avvantaggiati ed avremo una tecnologia che ci consentirà di farlo molto velocemente».

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