Chi fa i test antigenici privatamente dribbla il percorso Asur. Gli esperti: «Monitoraggio più difficile se una parte va per conto suo»

Chi fa i test antigenici privatamente dribbla il percorso Asur. Gli esperti: «Monitoraggio più difficile se una parte va per conto suo»
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Giovedì 19 Novembre 2020, 03:45 - Ultimo aggiornamento: 08:57

C’è un doppio binario nell’individuazione dei casi positivi al Covid che sta mandando in tilt il sistema dei tracciamenti. Nei giorni scorsi, diversi sindaci hanno lanciato l’allarme sulla comunicazione di presunti dati parziali e tardivi in merito, da parte del servizio sanitario regionale, cosa che rende impossibile gestire la situazione ed organizzare i servizi nei rispettivi Comuni.

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Tra questi, il primo cittadino di Ascoli Marco Fioravanti, che aveva denunciato ritardi nelle telefonate di verifica per i contatti stretti di positivi, e quello di San Ginesio, Giuliano Ciabocco, che ha parlato di circa 100 persone positive al Covid che non risultavano nel conteggio. 
La seconda via
Se da una parte, l’estensione del contagio ha reso decisamente più complicato il contact tracing – che ora si muove per priorità –, dall’altra, a creare confusione, ingolfando il Dipartimento di prevenzione dell’Asur, è stata la “seconda via” nella ricerca della positività. Molte persone, temendo di aver contratto il Covid, vanno nei laboratori privati per sottoporsi ai test rapidi antigenici. Test che però, anche se risultassero positivi, dovrebbero essere confermati dal referto del tampone molecolare. «Quei test lavorano sulla ricerca dell’antigene, che è simile per tutta la famiglia dei Coronavirus – spiega il coordinatore del Dipartimento di prevenzione, Alberto Tibaldi –: quella positività a noi non dice nulla ed alla positività all’antigenico non va associato il contatto stretto. L’unico tampone che può certificare la positività è quello molecolare». 
Addio al medico di base
Questo iter viene fatto in maniera autonoma dai singoli - invece di passare per il medico di base, che dovrebbe essere il primo step nella prassi del tracciamento – e, oltre a falsare il dato, provoca una valanga di richieste aggiuntive a cui il Dipartimento di prevenzione deve dare risposta. «I casi di positività al test antigenico – fa il punto Tibaldi –, devono fare il tampone molecolare di accertamento, ma andranno ad accodarsi a quelli che dobbiamo verificare nella diagnostica di persone con sintomi, con priorità uno. Non riusciamo a governare il fenomeno se le persone non seguono i percorsi stabiliti, dietro consiglio del medico di famiglia». 
L’altra criticità del sistema
Altra macroscopica criticità è poi quella dei tempi di reazione del sistema. «Siamo entrati in una situazione epidemiologica dove il tracciamento puntuale è difficoltoso se non irrealizzabile – osserva l’esperto –. Per cui si va ad applicare il tracciamento semplificato: si va a cercare il caso di positività principalmente tra le fasce più a rischio, ovvero i fragili, i bambini e gli over 65: questi, su segnalazione del medico di medicina generale e del pediatra, vengono contattati nell’arco di 48 ore. Per gli altri, ci si allunga fino al quarto, quinto giorno, massimo al sesto». I volumi incrementati, di settimana in settimana, dei casi positivi hanno portato ad un numero molto alto di inchieste d cui ha dovuto farsi carico il Dipartimento di prevenzione. Ed ogni inchiesta ha un tempo tecnico che può andare dalla mezz’ora alle tre ore. 
I contatti stretti
«I contatti stretti vanno rintracciati telefonicamente uno per uno e la cosa è abbastanza lunga e minuziosa – è sempre Tibaldi a tracciare il quadro –. A seguito di un caso positivo, il numero di contatti stretti è ora in media tra i 30 ed i 40. Situazione molto diversa rispetto alla prima fase, quando con il lockdown, si trattava solo dei familiari. Nelle scuole, si arriva ad una cascata di 50-60 persone da contattare per ogni caso positivo». Per accorciare i tempi tecnici, tuttavia, l’Asur sta potenziando le risorse umane dedicate al contact tracing. 
Martina Marinangeli
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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