Prima scuole e Tar, ora le riaperture: Ceriscioli e il governo come cane e gatto

Luca Ceriscioli governatore delle Marche
Luca Ceriscioli governatore delle Marche
di Lorenzo Sconocchini
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Venerdì 1 Maggio 2020, 03:55 - Ultimo aggiornamento: 08:18

ANCONA - E pensare che era quello che frenava troppo, il governatore colpevole - parole sfuggite il 28 febbraio al ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, anch’egli del Pd - di tenere «in ostaggio i marchigiani» chiudendo senza motivo le scuole e vietando manifestazioni pubbliche prima ancora che il virus dilagasse nelle Marche. C’era una volta il Ceriscioli molto più cauto e previdente del Governo, quello che aveva intuito già il 10 marzo l’urgenza di mettere in quarantena i furbetti del controesodo dalle zone rosse del nord, di chiudere dal 21 marzo anche le spiagge marchigiane. Il Ceriscioli iper-prudente già nell’epoca dello zero contagi, tanto da scatenargli contro l’Avvocatura generale dello Stato con un ricorso al Tar Marche per riaprire le scuole chiuse il 25 febbraio, è lo stesso che ora Palazzo Chigi vorrebbe frenare, insieme a tanti altri governatori.

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Un rapporto tormentato - quello tra Roma e Ancona, che adesso vede i ruoli invertiti - iniziato dalla famosa telefonata con cui il premier Conte, intorno a mezzogiorno di lunedì 24 febbraio, interruppe la conferenza stampa con cui il presidente della giunta Regionale stava annunciando lo stop delle lezioni e il divieto di manifestazioni pubbliche per una settimana, convincendolo ad aspettare. Il giorno dopo però il governatore Ceriscioli, con una scelta non condivisa dal Governo ma rivelatasi saggia, decise comunque il lockdown nelle Marche, subito impugnato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri perché a quella data nelle Marche non c’erano ancora contagi. Il 27 febbraio il Tar congela l’ordinanza di Ceriscioli in attesa di una decisione nel merito (udienza a gennaio 2021), ma il governatore due ore dopo ne firma una in fotocopia valida fino al 29 febbraio. 

Lunedì 2 marzo le scuole nelle Marche riaprono (tranne che in provincia di Pesaro) ma intanto l’epidemia avanza. Il giorno 3, con 60 casi di Coronavirus e i primi due morti nelle Marche, Ceriscioli le richiude. Il 4 anche il Governo si converte alle precauzioni e sospende le lezioni dal vivo in tutta Italia. La prudenza di Ceriscioli ha anticipato le mosse del governo anche su altri temi. Ad esempio con l’ordinanza firmata il 10 marzo per disporre l’isolamento in casa per due settimane per chiunque dal 7 marzo fosse rientrato nelle Marche dalla Lombardia o dalle altre zone rosse da cui nel precedente week-end c’era stata una fuga di massa. E anche quando il ministro della Salute Speranza, il 20 marzo, dispone la chiusura di parchi e giardini pubblici, già dal giorno prima il governatore delle Marche lo supera sulla linea della cutela chiudendo anche l’accesso alle spiagge, con ordinanza in vigore dal 21 marzo al 3 aprile, poi prorogata e tuttora in vigore. 

Solo dopo Pasqua, quando ormai la curva dell’epidemia nelle Marche s’è appiattita e gli ospedali si stanno svuotando, le parti si invertono e Ceriscioli scavalca il Governo nelle riaperture. Mentre Palazzo Chigi consulta schiere di esperti per la ripresa graduale delle attività produttive, il 19 aprile Ceriscioli si dice favorevole a far ripartire le aziende subito, «anche oggi, ma solo a patto di vedere operai bardati stile-Wuhan». Poi dispone, dal 27 aprile, la possibilità del take away, il ritiro del cibo da asporto, mentre Conte dispone lo sblocca in tutta Italia solo dal 4 maggio.

E dopo aver incassato senza vacillare le critiche sul Covid Hospital di Civitanova dell’unico esponente marchigiano nel governo - la sottosegretaria allo Sviluppo economico Alessia Morani, democrat come lui - Ceriscioli lavora a un cronoprogramma per riaprire, con le necessarie precauzioni, prima della data fissata dal governo (primo giugno) i saloni dei parrucchieri, si dice possibilista sulle messe, e annuncia l’ordinanza (poi firmata ieri) che consentirà da lunedì di passeggiare sulle spiagge. Intanto ieri Conte, in un’informativa alle Camere, annuncia che non saranno ammesse da parte delle Regioni «iniziative che comportino misure meno restrittive». Arrivederci al Tar?

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