Il professor Richeldi (Cts) «La zona arancione non è una punizione, protegge le Marche». E spiega come scattano le restrizioni

Il professor Luca Richeldi, 57 anni, è il direttore dell unità di Pneumologia del Policlinico Gemelli Irccs di Roma e componente del Cts
Il professor Luca Richeldi, 57 anni, è il direttore dell’unità di Pneumologia del Policlinico Gemelli Irccs di Roma e componente del Cts
di Maria Teresa Bianciardi
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Lunedì 16 Novembre 2020, 03:10

Professor Luca Richeldi, direttore dell’Uoc di Pneumologia del Policlinico Gemelli di Roma, presidente della Società Italiana di Pneumologia e membro del Comitato tecnico scientifico che supporta il Governo nella gestione della pandemia. A che punto siamo della seconda ondata Covid?
«Siamo al punto in cui c’è stata una ripresa della circolazione virale molto forte che ancora è in una fase espansiva, anche se inizia a vedersi qualche segnale di rallentamento con le misure che stiamo adottando. Perché oggi, rispetto alla prima ondata, sappiamo cosa fare e cosa non fare».

Luca Richeldi, pneumologo e componente del Cts

Il professor Luca Richeldi, 57 anni, è il direttore dell’unità di Pneumologia del Policlinico Gemelli Irccs di Roma e componente del Comitato tecnico-scientifico (Cts). Presidente della Società italiana di Pneumologia è massimo esperto di fibrosi polmonare idiopatica.

 
Cosa non andava fatto?
«Abbiamo avuto un’estate dove molti comportamenti prudenti sono stati allentati: dall’apertura delle discoteche, alle vacanze all’estero, fino alle aggregazioni spontanee che hanno agevolato la corsa del virus soprattutto in una fascia di popolazione con un’età media bassa». 


E con l’aumento dei casi sapevate invece cosa fare.
«Esattamente. Ma per evitare conseguenze disastrose dal punto di vista economico abbiamo studiato tre aree di intervento con misure restrittive graduali: una sorta di mutilazioni parziali e dinamiche per trovare un compromesso in questo momento particolarmente difficile».


Le Marche sono diventate arancioni con l’ultima ordinanza, ma la Regione non ha preso bene questa nuova classificazione. 
«Comprendo i governatori e i cittadini che si trovano di fronte ad un passaggio da una zona all’altra, ma queste non sono misure punitive. Servono a proteggere la popolazione e soprattutto il servizio sanitario che deve assicurare cure adeguate a tutti i pazienti. Adesso siamo in piena emergenza Covid, ma le altre malattie non sono in ferie».


Responsabile, sembra, l’indicatore 2.1 cioè il numero dei tamponi positivi nella prima settimana di novembre. Può bastare solo un parametro a cambiare rotta così repentinamente?
«Quello che sta cercando di fare la cabina di regia del ministero è una operazione molto complessa.

Gli epidemiologi devono predire il futuro guardando il passato, perché i casi di oggi sono contagi di settimane precedenti e i decessi di oggi sono pazienti ricoverati da tempo. Per ridurre i margini di incertezza è stato introdotto uno strumento multiparametrico dove esistono indicatori che contano di più e altri meno, alcuni sono più dinamici e altri più statici. La comparazione di questi fattori ci dà la misura da attuare». 


Quali parametri sono più indicativi di altri?
«L’indice di trasmissibilità (Rt), il contact tracing e la resilienza del servizio sanitario».


L’assessore alla Sanità in consiglio regionale ha anticipato l’idea di disporre un protocollo di cura ospedaliera con l’utilizzo di idrossiclorochina, azoto e plasma iperimmune, sulla scia della cura di Trump. Lei cosa ne pensa?
«È una posizione piuttosto originale, questi non sono i farmaci che hanno dimostrato maggiore efficacia e non sono quelli che si utilizzano in questo momento. È vero che le conoscenze sono in evoluzione ma bisogna basarsi su dati di fatto e le cure devono essere sicure prima ancora che efficaci. Per questo abbiamo l’Aifa che garantisce appunto la sicurezza dei farmaci».


Nel frattempo sempre Saltamartini, con l’assessore Aguzzi, ha potenziato le Usca e messo in moto la rete dei Covid hotel: ritiene sia la strategia giusta da applicare a questa seconda ondata pandemica?
«È decisamente questa la strada da seguire. Servono strutture dedicate per le cure precoci, puntando quanto più possibile al trattamento domiciliare. Proprio per alleggerire il servizio sanitario, che deve concentrarsi sui pazienti che hanno necessità di essere ospedalizzati».


Non resta che attendere il vaccino.
«Siamo ancora ai preliminari, non ci sono studi conclusi, ma siamo sulla giusta strada e le aspettative sono promettenti. Per tre motivi: intanto non si punta su un solo vaccino ma ce ne sono diversi allo studio e questo garantisce diversi profili di efficacia e la giusta quantità per arrivare velocemente alla vaccinazione. Secondo: si sta seguendo la strada maestra della sperimentazione clinica con la massima sicurezza e, infine, la corsa al vaccino è collettiva. Non siamo solo noi, ma tutto il mondo. E non era mai successo».

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