Le aziende e lo scoglio ripartenza: «Ma tra venti giorni cosa resterà di noi?»

Le aziende e lo scoglio ripartenza: «Ma tra venti giorni cosa resterà di noi?»
Le aziende e lo scoglio ripartenza: «Ma tra venti giorni cosa resterà di noi?»
4 Minuti di Lettura
Domenica 12 Aprile 2020, 07:49 - Ultimo aggiornamento: 14:30

ANCONA   - La serrata si allunga e fino al 3 maggio il lockdown terrà in stand by le imprese. Anche se i contagi da Covid-19 rallentano, il rischio di vanificare gli sforzi fin qui fatti è troppo alto per pensare di riaccendere a pieno regime il motore produttivo del Paese. Di fronte alle aziende che non rientrano tra i codici Ateco autorizzati, dunque, si prospettano altre tre settimane di stop e le domande che frullano con insistenza nella testa degli imprenditori sono di massima due: «quanti di noi saranno ancora in piedi, quando avremo disco verde per ripartire? E che tipo di mercato troveremo ad aspettarci?» Quesiti per cui restano svegli la notte, ma la lucidità di chi è abituato a rimboccarsi le maniche anche nei momenti più bui, non lascia spazio allo sconforto. 

LEGGI ANCHE:

Cgil, Cisl e Uil Marche: «Allibiti per le dichiarazioni del Presidente di Confindustria»



«Navigare nella tempesta: è questo che dovremo fare», traccia la rotta Gianfranco Tonti, titolare dell’azienda Ifi specializzata nella produzione di arredi per bar e ristoranti, con sede principale a Tavullia (PU). «Lo scenario che ci troveremo ad affrontare non dipende da una settimana in più o in meno di chiusura: le attività riprenderanno quando possibile, nel rispetto della salute delle persone impiegate nelle linee produttive». Chiusa dallo scorso 16 marzo, la Ifi nel 2019 ha macinato un fatturato di 54 milioni di euro, ma sul 2020 è impossibile fare previsioni: «per quanto riguarda i nostri prodotti, quanti negozianti ci saranno ancora ad acquistarli? E i loro clienti, ci saranno ancora? Non lo sappiamo al momento. La metafora più corretta per descrivere il Covid, è uno tsunami che, ritraendosi, mostrerà i danni che ha lasciato dietro di sé». 

Macerie economiche da cui si uscirà, «reinventandoci un po’, ma vivevamo già in un mondo in continuo cambiamento». La resilienza dell’imprenditoria è la filigrana delle parole di Paolo Giacchetti, amministratore delegato dell’azienda Domina spa, concessionaria Audi. Parte del gruppo anche la società ViaVai, che si occupa invece dei marchi Volkswagen, Skoda e Seat. «Durante questo periodo – racconta Giacchetti –, abbiamo concentrato l’attività delle officine nelle sedi di Ancona, sia per quanto riguarda Domina, che per ViaVai anche perché, con quest’ultima, facciamo pure assistenza alle auto delle forze dell’ordine ed alle ambulanze. I costi sono stati più alti dell’incasso, ma l’abbiamo fatto per restare presenti sul territorio». Da martedì, riapriranno le sedi di Jesi, Civitanova e Porto Sant’Elpidio, «piano piano, per arrivare pronti all’appuntamento del 4 maggio, quando spero potremo ripartire a pieno regime. Intanto, da qualche giorno abbiamo iniziato a contattare i nostri clienti per sapere se avessero bisogno di assistenza e, se sì, mandiamo un tecnico a prendere l’auto e, in serata, gliela riconsegnamo anche sanificata». 

L’impatto del Covid ha però fatto sentire tutta la sua onda d’urto: «a marzo, per noi il mercato è calato dell’82% e ad aprile forse arriveremo al 100%», abbozza una stima Giacchetti. A soffrire in modo particolare è il settore del fashion, che sta vedendo andare in fumo l’intera stagione autunno-inverno. «Abbiamo perso metà consegna della stagione invernale – conta i danni Graziano Mazza, titolare dell’azienda di calzature e abbigliamento in pelle Premiata – ed il problema è il reperimento delle materie prime, perché a monte sono chiusi i fornitori. Così, arriveremo in produzione a luglio: sarebbe stato meglio farci aprire per step, un settore dell’azienda alla volta, così si poteva programmare. Molti, come me, lavorano con l’estero e così perderemo commesse e clienti perché altri Paesi, che non hanno chiuso tutto, approfittano degli spazi lasciati vuoti da noi». Ma se oltre confine non dovesse esserci un mercato ad attendere le imprese made in Marche, «non è detto che poi non si cercherà di favorire il lavoro delle imprese all’interno del proprio territorio», osserva Simona Reschini, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria. 

Con la sua famiglia, dirige la Reschini Costruzioni, azienda edile del Maceratese, ma al momento «tutti i nostri cantieri sono bloccati, alcuni anche prima dell’inizio del lockdown per contenere il contagio.

Il piccolo accenno di ricostruzione post sisma ha mosso un po’ le acque e, se riusciamo ad evadere quelle pratiche entro l’anno, forse possiamo mantenere le previsioni di fatturato, ma è presto. La preoccupazione è soprattutto legata ai privati: questo fermo costa caro alle aziende, e forse ci saranno restrizioni negli investimenti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA