Il colpo d’ala del governatore Ceriscioli: «Ho aspettato anche troppo e non torno indietro»

Luca Cerisicoli
Luca Cerisicoli
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Mercoledì 26 Febbraio 2020, 04:20 - Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 16:13

ANCONA  - Si chiama via del Porto, si trova a Gabicce. Un passo a Nord è si entra nel territorio comunale di Cattolica, regione Emilia Romagna. Via del Porto da ieri è il Piave delle Marche e Luca Ceriscioli diventa l’Armando Diaz di questo fronte invisibile chiamato Coronovirus. Quello che non è successo in quattro anni e nove mesi di legislatura accade nel raggio di 12 ore. Che potrebbero anche valere 12 mesi o 12 anni di vita amministrativa, questo lo vedremo: di sicuro in fondo al cielo terso di fine febbraio si staglia la figura di un governatore che mostra i muscoli fino ad andare allo scontro con lo Stato. «Mai visto a queste latitudini un corto circuito del genere» dice chi conosce bene le curve sinuose dei cavilli istituzionali e costituzionali. Mai visto, cioè, un governatore che si mette di sbieco infilandosi tra la «potestà concorrente» e quella «regolamentare», le colonne d’Ercole dell’articolo 117 della Costituzione. E se anche fosse una questione più semplice, squisitamente amministrativa (da sospensiva al Tar, per capirci, trattandosi di un provvedimento ordinatorio, ipotesi accreditata), tanto basterà alle Marche per sapere che l’inquilino di palazzo Raffaello ha messo la bandiera a difesa di quella regione per troppo tempo ignorata.

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Accade nel giro di 12 ore, una giornata fiume tra la conference call della mattina di Conte con le Regioni e la stesura del provvedimento di Palazzo Chigi. Ceriscioli interviene a mezzogiorno e chiede che si faccia in fretta. È opportuno ricordare il contesto: da una manciata di minuti è spuntato un caso positivo di Coronavirus a Cattolica. E il premier Conte alle 14.05 parla di un’ordinanza quadro che moduli, se necessario, anche provincia per provincia la scacchiera delle attività sospese tra territori focolaio e quelli non toccati dal virus. Ceriscioli si accoda e nel primo pomeriggio inizia la sua interlocuzione con i tecnici di Palazzo Chigi: «Cattolica è adiacente a Gabicce, vorrei poter isolare la provincia di Pesaro-Urbino per il principio appena citato» argomenta deciso il governatore. Picche, risponde Roma: non c’è bisogno di chiudere, potete andare avanti così. 

Alle garbate insistenze segue anche qualche pugno sul tavolo. Se non è reale, di sicuro è figurato: «Scusate - insistono governatore e il segretario generale Giraldi - avete chiuso tutto in Friuli e Liguria e non lo fate per le Marche?». Parentesi: avanti veloce in prima serata: quando il caso Marche è già in piazza, gli chiedono capziosamente da Sky: ma in Liguria e Friuli ci sono casi positivi, voi siete andati troppo avanti. «No, controllate le date - alza le mani Ceriscioli - quando Friuli e Liguria hanno chiesto la chiusura delle attività non c’erano contagi». Chiusa parentesi, indietro alle 17, le cinque della sera. È l’ora più difficile, l’ora in cui Ceriscioli decide di puntare i piedi: basta, mi sono stancato - è il senso del ragionamento davanti allo staff raggelato - a Bologna ci sono scuole chiuse nonostante si trovi a 100 chilometri da Lodi, qui non mi fanno chiudere Pesaro-Urbino che sta a un passo da Cattolica, facciamo un provvedimento esteso per tutte le Marche. In America si chiamerebbe slapshot, colpo secco. Alle 18.15 viene firmato il provvedimento messo controvoglia in frigorifero lunedì mattina. E c’è molto di più sotto la firma dell’ordinanza 1 del 25 febbraio. C’è il conto presentato a Roma sui due-pesi-due-misure visti tra il ponte Morandi (deroga normativa tout court) e i decreti, contorti e affastellati uno sull’altro, per il terremoto 2016. Torniamo al Piave, a via del Porto di Gabicce. 

Si aprono le cataratte. Roma individua le Marche sulla cartina geografica. Borrelli, capo della Protezione civile: «Non condivido». Il governo annuncia che l’ordinanza «è fuori linea e si sta valutando l’impugnativa». A quell’ora, sono le 20.25, Ceriscioli ha per le mani altri problemi: il primo caso di contagio nel Pesarese. A ruota arriva la telefonata del ministro per gli Affari Regionali Boccia: «Luca, volevo comunicarti che il governo impugnerà l’ordinanza».

Ceriscioli-Diaz se ne sbatte del governo. «Pazienza, andiamo per la nostra strada». Da Sky gli ospiti lo osservano con la lente degli entomologi: «Si rende conto di andare in contrasto con il governo?». Il presidente allarga le braccia come chi ha appena falciato il centravanti avversario solo davanti al portiere: «Contrasto? No, è il contrario. Io mi sono messo in linea con quanto fatto dal governo per Friuli e Liguria». Ne ha da vendere, Ceriscioli. Alle 21 al telefono stringe ancora i pugni: «Ho concesso 24 ore per cercare il dialogo, adesso tiriamo dritto». Sembra sorridere, come l’eroe sul patibolo. O forse era davvero il ghigno di Armando Diaz sul Piave di via del Porto.

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