ANCONA - Si chiama via del Porto, si trova a Gabicce. Un passo a Nord è si entra nel territorio comunale di Cattolica, regione Emilia Romagna. Via del Porto da ieri è il Piave delle Marche e Luca Ceriscioli diventa l’Armando Diaz di questo fronte invisibile chiamato Coronovirus. Quello che non è successo in quattro anni e nove mesi di legislatura accade nel raggio di 12 ore. Che potrebbero anche valere 12 mesi o 12 anni di vita amministrativa, questo lo vedremo: di sicuro in fondo al cielo terso di fine febbraio si staglia la figura di un governatore che mostra i muscoli fino ad andare allo scontro con lo Stato. «Mai visto a queste latitudini un corto circuito del genere» dice chi conosce bene le curve sinuose dei cavilli istituzionali e costituzionali. Mai visto, cioè, un governatore che si mette di sbieco infilandosi tra la «potestà concorrente» e quella «regolamentare», le colonne d’Ercole dell’articolo 117 della Costituzione. E se anche fosse una questione più semplice, squisitamente amministrativa (da sospensiva al Tar, per capirci, trattandosi di un provvedimento ordinatorio, ipotesi accreditata), tanto basterà alle Marche per sapere che l’inquilino di palazzo Raffaello ha messo la bandiera a difesa di quella regione per troppo tempo ignorata.
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Accade nel giro di 12 ore, una giornata fiume tra la conference call della mattina di Conte con le Regioni e la stesura del provvedimento di Palazzo Chigi. Ceriscioli interviene a mezzogiorno e chiede che si faccia in fretta. È opportuno ricordare il contesto: da una manciata di minuti è spuntato un caso positivo di Coronavirus a Cattolica. E il premier Conte alle 14.05 parla di un’ordinanza quadro che moduli, se necessario, anche provincia per provincia la scacchiera delle attività sospese tra territori focolaio e quelli non toccati dal virus. Ceriscioli si accoda e nel primo pomeriggio inizia la sua interlocuzione con i tecnici di Palazzo Chigi: «Cattolica è adiacente a Gabicce, vorrei poter isolare la provincia di Pesaro-Urbino per il principio appena citato» argomenta deciso il governatore. Picche, risponde Roma: non c’è bisogno di chiudere, potete andare avanti così.
Si aprono le cataratte. Roma individua le Marche sulla cartina geografica. Borrelli, capo della Protezione civile: «Non condivido». Il governo annuncia che l’ordinanza «è fuori linea e si sta valutando l’impugnativa». A quell’ora, sono le 20.25, Ceriscioli ha per le mani altri problemi: il primo caso di contagio nel Pesarese. A ruota arriva la telefonata del ministro per gli Affari Regionali Boccia: «Luca, volevo comunicarti che il governo impugnerà l’ordinanza». Ceriscioli-Diaz se ne sbatte del governo. «Pazienza, andiamo per la nostra strada». Da Sky gli ospiti lo osservano con la lente degli entomologi: «Si rende conto di andare in contrasto con il governo?». Il presidente allarga le braccia come chi ha appena falciato il centravanti avversario solo davanti al portiere: «Contrasto? No, è il contrario. Io mi sono messo in linea con quanto fatto dal governo per Friuli e Liguria». Ne ha da vendere, Ceriscioli. Alle 21 al telefono stringe ancora i pugni: «Ho concesso 24 ore per cercare il dialogo, adesso tiriamo dritto». Sembra sorridere, come l’eroe sul patibolo. O forse era davvero il ghigno di Armando Diaz sul Piave di via del Porto.
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