Finita l'era dei commissari nelle Marche, il prof Carboni: «È passata la tempesta, ora si rifletta. Ci servono ottimi decisori»

Finita l'era dei commissari nelle Marche, il prof Carboni: «È passata la tempesta, ora si rifletta. Ci servono ottimi decisori»
Finita l'era dei commissari nelle Marche, il prof Carboni: «È passata la tempesta, ora si rifletta. Ci servono ottimi decisori»
di Véronique Angeletti
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Venerdì 10 Marzo 2023, 03:35 - Ultimo aggiornamento: 12:46

Con la fine di tanti commissariamenti dei partiti (Fdl, Pd, con il prossimo congresso la Lega) e il nuovo corso di associazioni di categoria come Confindustria, i marchigiani riprendono in mano le redini.

Professor Carlo Carboni, docente di Sociologia economica alla Politecnica delle Marche viviamo un Risorgimento marchigiano?
«Ci andrei cauto con il nuovo risorgimento. La fine dei commissariamenti vuol dire che è passata la nottata di tempesta e litigiosità, ma senza riflettere a fondo su quanto successo, semplicemente seguendo il tradizionale principio politico che sbollentati gli animi le cose tornano a posto da sé. Ma non è così». 
Perché tutto questo pessimismo?

«La genesi dei problemi delle Marche non è cambiata. La crisi economica del 2008 – e la sua accentuazione del 2011-12 nelle Marche -, il terremoto “infinito” del 2016-17, adesso la pandemia e la guerra in Ucraina hanno fatto emergere le debolezze del sistema produttivo regionale. Un sistema troppo specializzato nei settori tradizionali o maturi con una bassa quota di imprese innovative; lo scarso supporto di un’adeguata rete di servizi; il basso livello di investimenti esteri; una spesa insufficiente per Ricerca e sviluppo; la carenza di infrastrutture; la scarsa managerializzazione e il mancato ricambio generazionale nelle imprese; la predominanza di competenze low-skill nelle piccole aziende. Uno smottamento dell’economia regionale che ha reso le Marche una regione in transizione nell’Unione europea».
Ma quale è il rapporto tra i problemi dell’economia regionale e i commissariamenti? 
«Il modello regionale di sviluppo, il sistema dei distretti, è saltato e la consapevolezza del declino delle Marche ha fatto perdere il senso della misura e dell’equilibrio, ha fatto emergere litigiosità e alterato la serenità della comunità. Non a caso, le Marche sono state le pioniere rispetto all’Italia nel passaggio epocale dal centro sinistra al centro destra».
Pertanto, in prospettiva, niente di nuovo? 
«I partiti sapranno trovare capacità di selezione e guida? Soprattutto adesso che stanno arrivando tante risorse, circa 18 miliardi, tra i fondi per la ricostruzione post sisma, i fondi Ue, i Recovery Plan. Ci vogliono attori robusti per abilmente pilotare le risorse e provocare una svolta. Finora sono venuti a mancare. È la profonda crisi delle classi dirigenti all’origine dell’attuale situazione negativa della regione. Non hanno saputo creare reali relazioni tra élite regionali appartenenti a diverse dimensioni (economica, politica, culturale)».
Quali sarebbero secondo lei i giusti driver? 
«Gree e tecnologia ma per il rilancio delle Marche ci vogliono ottimi decisori».
 

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