Presidente, da un dato non si sfugge: le piccole imprese continuano a calare. Cambia l’immagine dinamica di una terra del fare e della creatività. Qual è l’elemento penalizzante?
«Non ne esiste uno, ma la somma di tanti. Le Marche risentono delle criticità nazionali - crisi finanziaria, pandemica ed energetica - che hanno morso di più una regione manifatturiera. Da noi hanno pesato poi la dissoluzione di una banca territoriale, il sisma, il dissesto idrogeologico, il conflitto in Ucraina e le sanzioni che hanno afflitto soprattutto le realtà del “made in”, da sempre legate al mercato orientale».
Una sequenza negativa che ha fiaccato.
«La mancanza di materie prime, l’innalzamento di costi e utenze sono state una maledizione per le imprese individuali. Solo le più strutturate tengono testa».
Negli anni la nostra regione si è assestata sulle medie nazionali. Ora scivola sotto, accanto al Molise. Sempre più terra di transizione?
«Siamo provati da un insieme di circostanze sfavorevoli, che avrebbero affossato chiunque. Mi permette?».
Prego.
Si è sempre investito in settori tradizionali, trascurando quelli ad alta tecnologia. Una scelta pagata cara?
«Certo. La dimostrazione è che resistono le aziende più organizzate. Bisogna stare insieme, in filiera, guardare gli esempi virtuosi. Le imprese per prime devono cambiare pelle, andare verso la digitalizzazione».
C’è molto su cui lavorare.
«Dobbiamo investire sui giovani. Il rapporto con gli atenei è fondamentale, sia per la ricerca sia per orientare i percorsi alle esigenze delle imprese. Dobbiamo attrarre i nostri ragazzi che si sono formati all’estero. Ci vuole contemporaneità».
Al calo numerico delle aziende potrebbe corrispondere un incremento della qualità?
«Sì, perché c’è sempre più attenzione all’innovazione».
Qui il numero delle startup è considerevole. Depone a favore di questa tesi che cambia la narrazione?
«Certo. Ascoli, dall’ultima rilevazione, è la quinta provincia in Italia per incidenza del numero di start up sul totale e lo è da anni. Dobbiamo essere bravi a convertirle in imprese che assumono. Per tornare a risalire».
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