Bernetti (Umani Ronchi): «Maggior capacità commerciale. Ecco perché abbiamo svoltato. C’è voglia dei vitigni della tradizione»

Bernetti (Umani Ronchi): «Maggior capacità commerciale. Ecco perché abbiamo svoltato. C’è voglia dei vitigni della tradizione»
Bernetti (Umani Ronchi): «Maggior capacità commerciale. Ecco perché abbiamo svoltato. C’è voglia dei vitigni della tradizione»
di Maria Cristina Benedetti
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Domenica 2 Aprile 2023, 03:30 - Ultimo aggiornamento: 12:56

In lui convergono tradizione e analisi di mercato, il tutto contenuto nella trasparenza d’un bicchiere di nettare di Bacco. Alza i calici dalla prospettiva privilegiata del Vinitaly, con Verona a fare da sfondo, Michele Bernetti: «Confermo, il trend dell’export è positivo». Il leader di Umani Ronchi, cantina-icona di Osimo, che è a capo dell’Istituto marchigiano di tutela dei vini, non si affida ai favori del destino, punta piuttosto sull’efficacia dei fatti. «Un motivo c’è perché ciò è avvenuto», è la sua convinzione. 
Qual è? Ce lo spieghi 
«Le aziende hanno affrontato le piazze di riferimento con più metodo e maggiore organizzazione. Sono preparate».

 
I risultati arrivano. Altre stellette da sistemare sul medagliere?
«La tendenza che vede a livello internazionale la supremazia dei bianchi sui rossi. Un dato che ci favorisce poiché nella nostra terra è una produzione importante, in crescita».
Una congiuntura positiva, alimentata da cosa? 
«Dall’aver distribuito meglio. Il livello dei prezzi dei prodotti è aumentato. Significa che, a parità di quantità di merce piazzata, abbiamo dimostrato di avere una maggiore capacità commerciale».
I vini local come seducono i mercati esteri?
«Con i valori dell’appartenenza, della genuinità, della diversità regionale. Elementi, questi, che hanno generato molta attenzione. Si cercano il Verdicchio, il Bianchello, il Pecorino, la Passerina. Si vuole il territorio. Abbiamo molti vitigni della tradizione, un fattore che ci contraddistingue e ci favorisce». 
Il paradosso: risultati lusinghieri ottenuti nonostante i rincari, inevitabile morsa dei tempi. Come la racconta? 
«Ribadisco, l’andamento dei prezzi ci ha facilitati. I nostri listini erano molto contenuti, troppo, quindi gli incrementi non hanno spiazzato i compratori. Anzi, ci hanno permesso di alzare il tasso di percezione che trasmettiamo». 
L’incubo siccità, che per la vendemmia è una innegabile criticità, non vi ha sfiorato? 
«Abbiamo avuto due anni con un raccolto inferiore alle medie di stagione: il 2021 non era andato bene e già il 2020 era preceduto da un meno. Nel 2022 è avvenuto il cambio di passo: le vigne hanno risposto positivamente all’annata teoricamente difficile. Forse perché si veniva da un periodo negativo. Il tema tuttavia è un altro».
Lo decripti.
«Dobbiamo preoccuparci, tutto l’anno, di attrezzare i piccoli invasi collinari. Il punto nevralgico è come trattenere l’acqua quando piove e non farla disperdere. Il problema va affrontato con un metodo radicale». 
Non si affida proprio al destino.
«Esatto. Mi conceda una divagazione sulle cifre a segno più delle esportazioni». 
Prego. 
«I numeri vanno letti con attenzione, con minuzia. Quel dato positivo, inconfutabile, non corrisponde alla crescita dei fatturati delle singole aziende: vuol dire che contiene altre variabili oltre a quella dell’export. Una osservazione che non vuole smorzare gli entusiasmi, ma è necessaria per evitare spiacevoli sorprese in futuro».
Azzardi una previsione per il 2023. 
«Per ora pare tutto bene. La partenza è in linea con le cifre in salita che ci stiamo narrando». 
Quali sono i Paesi dove brindare marchigiano è un affare di culto?
«Germania e Inghilterra. Da sempre».

 
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