Stessa spiaggia, stesso balneare. «Proroga di un anno sulle concessioni? Non è sufficiente»

L’emendamento al Milleproroghe che rinvia le aste al 2025

Proroghe sulle concessioni, i balneari delle Marche: «Un anno in più? Ok, ma non è sufficiente»
Proroghe sulle concessioni, i balneari delle Marche: «Un anno in più? Ok, ma non è sufficiente»
di Véronique Angeletti
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Venerdì 10 Febbraio 2023, 02:30 - Ultimo aggiornamento: 11 Febbraio, 07:44

ANCONA Di sicuro non peggiora ma non migliora nemmeno la situazione la proroga che rinvia di un anno le gare per le concessioni balneari. È passato infatti l’emendamento al Milleproroghe che rinvia le aste al 2025 per prendere tempo e le varie associazioni sperano che serva per riorganizzarsi. «Noi auspichiamo – interviene il fermano Romano Montagnoli, presidente regionale Sib - Confcommercio e titolare dello stabilimento Windsurf di Porto San Giorgio - che serva non per applicare norme “pasticciate e frettolose” ma per adottare, con il coinvolgimento delle Regioni e dei Comuni, quella soluzione strutturale e definitiva annunciata giorni fa dal presidente Meloni». 

 


I tempi


Insomma, pochi mesi per mettere a sistema una vera soluzione ed «insieme superare la disciplina varata dal precedente Governo che - incalza Montagnoli - «presenta molteplici criticità foriere di gravi conflitti istituzionali, (come la pianificazione di esclusiva competenza regionale), e di un esteso contenzioso in danno dei Comuni (come la nullità degli atti già rilasciati)». Parole calme che chiedono di tradurre lo spostamento temporale delle scadenze sul piano pratico. Al Governo, di abrogare alcuni articoli del decreto concorrenza; al Parlamento, di impugnare la sentenza del Consiglio di Stato che arbitrariamente fissa il termine del 2023; e di lavorare al fine di fissare un quadro di tutele per le migliaia di famiglie che rischiano di perdere la loro attività. Anche per Mauro Mandolini, presidente di Balneari di Confartigianato Ancona- Pesaro e Urbino e titolare dei Bagni Torrette di Fano, la proroga «consente di affrontare con serietà l’annosa questione.

La priorità assoluta - entra nel merito - è arrivare a definire una condizione di stabilità che consenta ai concessionari di far valere la loro professionalità e di poter pianificare investimenti che, allo stato attuale, sono impossibili. Chi investe non sa a quale futuro la sua attività va incontro. Pertanto, lo slot di qualche mese deve essere utilizzato per impostare assieme al Governo le giuste soluzioni onde evitare le battaglie legali» Poi, c’è chi accoglie la proroga con stanchezza, senza entusiasmo. Come Filippo Borioni, il presidente di Oasi Italia e titolare a Senigallia di “Bagni 77”.

La proroga (ennesima)

«E’ l’ennesima proroga - osserva -. Risolverà il problema? Non lo so. Ma so che in queste condizioni non è possibile fare impresa, è impossibile investire e nuoce al turismo balneare, uno dei principali front desk del settore». Una dichiarazione che stride con la sua personalità d’imprenditore. Ha diffuso l’immagine di una spiaggia evoluta ottenendo, per primo, la certificazione “Climabeach per l’ecosostenibilità”: il suo stabilimento produce infatti più del 70% del suo fabbisogno energetico. «Mi aspetto – prosegue - che tutti lavorino per dare delle risposte. Andando a far valere le ragioni degli stabilimenti italiani a Bruxelles, evidenziando il valore commerciale dei beni, attivando le clausole di stabilità sociale. Perché in caso di evidenza pubblica, devono essere tutelate le imprese che hanno come principale mezzo di sostentamento l’attività che va in gara». Si aspetta un giro di boa, che la politica italiana faccia emergere le peculiarità del comparto e difenda a Bruxelles l’identità del litorale italiano. L’identità e il lavoro di una vita. Sono gli argomenti di Mara Petrelli, una delle rappresentanti di Cna Balneari di Macerata e proprietaria del Lido Cristallo a Civitanova. «Temo che la proroga allunghi il brodo della minestra. La sostanza - afferma - è essere tutti consapevoli che una gara non fa giustizia ma dà gli operatori in pasto alle multinazionali e distrugge il lavoro di famiglie che hanno investito sulle strutture e sempre pagato la sabbia in affitto». 
 

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