Il prof Giacometti: «Gli anticorpi monoclonali utilizzati negli ospedali danno risultati ma la vera risposta al Covid è il vaccino»

Il prof Andrea Giacometti, direttore della Clinica di malattie infettive dell'Azienda Ospedali Riuniti di Ancona
Il prof Andrea Giacometti, direttore della Clinica di malattie infettive dell'Azienda Ospedali Riuniti di Ancona
di Martina Marinangeli
3 Minuti di Lettura
Domenica 26 Settembre 2021, 04:35 - Ultimo aggiornamento: 15:57

ANCONA - Professor Andrea Giacometti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’azienda Ospedali Riuniti di Torrette, la Regione ha deciso di puntare sulle cure domiciliari e, in particolare, per i pazienti domiciliari in uno stadio di gravità lieve o moderata della patologia, sugli anticorpi monoclonali. Le Marche sono state tra le prime regioni ad utilizzarli: come procede?


«Da metà luglio fino a metà settembre non ci sono state richieste. Da metà settembre in poi abbiamo invece ricominciato e facciamo tre o quattro pazienti a settimana, trend che c’era anche prima dell’estate».

 
Numeri molto contenuti.
«Secondo gli ultimi registri Aifa, le Marche sono intorno ai 380 trattamenti in totale, un po’ al di sopra della media nazionale. Quindi non siamo messi male».


Quali possono essere le ragioni di un uso inferiore alle aspettative, secondo lei?
«Intanto, un nodo è trovare il paziente: deve essere nelle primissime fasi della malattia, non è tanto facile. E un po’ può dipendere anche dal paziente stesso. È lui, infatti, che deve recarsi in ospedale per fare la flebo. E non tutti lo fanno, anche se il medico di base glielo ha consigliato».


La finestra temporale ridotta non aiuta, insomma.
«È complicato. Però, da una settimana a questa parte, possiamo trattare con i monoclonali anche i ricoverati. È una decisione recentissima: prima la logica era fare gli anticorpi per evitare il ricovero. Adesso sono uscite delle pubblicazioni scientifiche da cui si evince che vale la pena farli, nelle prime fasi, anche ai ricoverati in Malattie infettive, purché non abbiano già gli anticorpi».


In altre regioni, la sperimentazione sui monoclonali è stata accantonata.
«Forse è anche per questo che siamo sopra la media nazionale.

Alcune Regioni praticamente non sono neanche partite: se noi abbiamo fatto 380 trattamenti, altri territori come Molise, Sardegna e Basilicata hanno tra i tre ed i 10 pazienti trattati».


Domanda secca: il trattamento con anticorpi monoclonali funziona? 
«Generalmente sì. Dei 380 trattati, pochi sono stati ricoverati. Peraltro, per la maggior parte erano anziani e con comorbidità, magari anche soggetti con terapia immunosoppressiva che non avrebbero sviluppato gli anticorpi neanche con il vaccino. A Torrette, tra Clinica e Divisione, ne abbiamo trattati una settantina e solo quattro hanno avuto bisogno del ricovero. Essendo tutti soggetti a rischio, è un risultato notevole».


A suo avviso, gli anticorpi monoclonali possono essere una risposta per evitare che i reparti si intasino di nuovo? 
«Una delle risposte. Ma la risposta più grande è il vaccino, e lo vedo sul campo. Quando, poco prima dell’estate, sembrava stesse arrivando la quarta ondata, come ospedali abbiamo iniziato ad organizzarci: nella Clinica di Malattie infettive che dirigo, abbiamo messo a disposizione 10 posti letto. Avevo dei dubbi che bastassero e, invece, finora sono stati sufficienti: è tutto merito dei vaccini. Dei nove pazienti che abbiamo ricoverati al momento, la maggior parte non è vaccinata, infatti».


Le cure domiciliari, dunque, sono “un’appendice” residuale rispetto alla campagna vaccinale.
«Sì. In questi ultimi due mesi, l’abbattimento dei ricoveri è sicuramente dovuto ai vaccini. Però anche le cure domiciliari sono importanti: per esempio, per chi non può vaccinarsi, o per chi si è vaccinato anche con due dosi, ma non ha prodotto gli anticorpi, come i pazienti oncologici, ematologici o in chemioterapia».


Di quante scorte di monoclonali disponiamo? 
«L’ospedale di Torrette è la sede di stoccaggio regionale ed abbiamo a disposizione più di mille trattamenti». 


Tra le cure su cui la Regione intende puntare, c’è anche il remdevisir: funziona? 
«Come i monoclonali, è un farmaco ospedaliero, e si fa con una flebo al giorno per cinque giorni. Anche in questo caso, funziona nelle prime fasi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA