Il dottor Raffaele Pascarella (Ospedali Riuniti): «Dopo Rossi, Bagnaia. Sì, sono il chirurgo dei super campioni»

Il dottor Raffaele Pascarella (Ospedali Riuniti): «Dopo Rossi, Bagnaia. Sì, sono il chirurgo dei super campioni»
Il dottor Raffaele Pascarella (Ospedali Riuniti): «Dopo Rossi, Bagnaia. Sì, sono il chirurgo dei super campioni»
di Lucilla Niccolini
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Lunedì 7 Novembre 2022, 04:25 - Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 12:58

Si è guadagnato sul campo l’appellativo di “Ortopedico dei campioni”. Al petto del dottor Raffaele Pascarella, direttore di Ortopedia e Traumatologia agli Ospedali Riuniti di Ancona, si appunta un’altra stelletta, con la vittoria di Francesco Bagnaia, ieri a Valencia campione del mondo di MotoGp. È stato proprio lui, infatti, a riportarlo in pista quando, nell’agosto 2020, subì a Brno, durante le prove libere, la frattura della tibia destra. Dopo Valentino Rossi, cui ricompose tibia e perone nel 2017, anche Bagnaia.

 
Un altro alloro? 
«La fama che ci aveva dato il successo del Dottore, che già tre settimane dopo l’operazione nella nostra struttura era tornato a correre, e a vincere, ha indotto i dirigenti della squadra a rivolgersi a noi anche per Bagnaia».
Squadra che vince non si cambia, anche nell’Ortopedia. Una “medaglia” per il chirurgo o per la struttura? 
«Sicuramente il nome del professionista è importante, ma anche la struttura lo è. Quando operi circondato da specialisti impeccabili, in una struttura che ha una direzione aziendale forte e illuminata, come quella guidata dal dg Michele Caporossi, tutto viene più facile».
Come si conquista una fama del genere? 
«Parte dal basso, dalla scuola di specializzazione. Dipende da quanto ci si impegna nell’attività scientifica, e poi sul campo. Da quanto la tua professione è una ragione di vita. Ma nella sala operatoria conta il gioco di squadra. Ed è importante che un’azienda ospedaliera ti garantisca professionisti di valore». 
Ne era consapevole, quando, nel 2012, dall’Ospedale Maggiore di Bologna è passato a dirigere l’Unità di Ortopedia e Traumatologia di Ancona? 
«Certamente. Ho accettato la proposta, perché conoscevo l’eccellenza di un grande ospedale come il Regionale di Torrette». 
Quanto conta l’esperienza per un chirurgo ortopedico? 
«Moltissimo. Si può studiare tanto sui libri, poi girare il mondo, come è successo a me, per conoscere altre tecniche, ma poi, in sala operatoria, molto dipende da quanti interventi hai fatto: non si diventa chirurghi in un giorno, ma solo passando attraverso casi complicati, inattesi. Solo così puoi capire e decidere quello che è meglio fare». 
Poi, sul tavolo operatorio, un giorno arriva un campione, e sai che da te dipende non soltanto il recupero totale delle funzioni, ma anche la sua performance. Quanta emozione? 
«Tanta, quanta è poi la soddisfazione nel constatare che il lavoro che hai svolto ha riportato quel campione alle sue performance attese.

La soddisfazione si paga dal punto di vista emotivo, anche se ti trovi a intervenire su fratture comuni, su cui sei abituato a operare quotidianamente». 


Quando c’è l’eccellenza in ballo, cambia qualcosa? 
«In termini di responsabilità, non c’è la minima differenza. La responsabilità è sempre la stessa. Poi, chiaramente, l’esito del tuo intervento implica una risonanza mediatica ben differente. Penso a Marquez, che è stato operato per una frattura dell’omero per ben quattro volte, da un chirurgo bravissimo. Quella trafila ha fatto il giro dei giornali di tutto il mondo, non facendogli fare di certo una bella figura». 
Si riesce a dimenticare questo aspetto, in sala operatoria? 
«Vede, io cerco sempre di estraniarmi rispetto a chi ho sotto i ferri, anche se non è poi così semplice. Però il chirurgo sa sempre come chiudersi in una bolla, perché in quel momento gli sono richiesti gesti che conosce perfettamente. Il cuore può anche battere di più, ma il paziente comune, il ragazzino caduto in motorino, e il campione di Moto GP non devono essere trattati in maniera diversa. Se mi comportassi differentemente, sarebbe un’ingiuria. Ma per fortuna, di campioni, sui nostri lettini, ne capitano pochi». 
Però, quando capitano, l’orgoglio di vederli vincere ancora, dopo, è sacrosanto. 
«Sì, anche perché, come per Rossi, seguire le successive prodezze di Francesco Bagnaia ha un altro sapore. Ma quando, a dicembre dell’anno scorso, è tornato da noi a Torrette, per farsi togliere la placca alla tibia, la notizia è rimasta in sordina. Non cerchiamo onori. Abbiamo due campioni del Moto Gp sul nostro albo d’onore, e ci fa piacere, ma continuiamo a lavorare con la cura di sempre, con tutti». 

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