Ancona-Roma, un incubo. Ieri oltre cinque ore di viaggio in treno. Ecco il primo banco di prova per Acquaroli

Ancona-Roma, un incubo. Ieri oltre cinque ore di viaggio in treno. Ecco il primo banco di prova per Acquaroli
di Stefano Rispoli
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Martedì 13 Ottobre 2020, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 09:00

ANCONA Anche i vip piangono quando si tratta di prendere il treno per Roma perché il ritardo viaggia in prima classe e non guarda in faccia a nessuno, dirigenti, parlamentari, eminenze. Doveva arrivare alla stazione Termini alle 10,57 il Frecciabianca partito ieri mattina da Falconara alle 7,50. Nella capitale non è mai arrivato per non meglio precisati guasti tecnici. A bordo c’erano politici attesi a Montecitorio, il d.g. di Torrette Michele Caporossi ma anche comuni pendolari ormai avvezzi alle disavventure del coast-to-coast Ancona-Roma. Sul treno-lumaca c’era pure il cardinale Edoardo Menichelli, partito alla buon’ora dal capoluogo dorico per una riunione in Vaticano. 

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Il primo stop a Fabriano 
«Già a Fabriano avevamo accumulato un considerevole ritardo, poi una volta approdati a Foligno ci hanno pregato di scendere perché c’erano problemi tecnici da risolvere: abbiamo aspettato un po’, quindi ci hanno fatto salire su un altro treno regionale», racconta l’arcivescovo emerito di Ancona-Osimo. In quei momenti anche un santo perderebbe la pazienza, non monsignor Menichelli: «Abbiamo affrontato il viaggio con serenità e calma, la salute vince sui contrattempi». 


La seconda pausa a Foligno
Un viaggio della speranza, durato oltre 5 ore, con un cambio in corsa non preventivato e una lunga pausa alla stazione di Foligno in attesa del convoglio sostitutivo, un affollato regionale “veloce” che, come da programma, ha fatto tappa in tutte le fermate ma almeno è arrivato puntuale nella Capitale, qualche minuto dopo le 13. Per molti sono saltati summit, riunioni e appuntamenti di lavoro. Non una novità: i viaggi in stile Odissea sono una costante sulla Orte-Falconara, linea che da una vita guarda al raddoppio come a un miraggio. Ma questa storia, davvero intollerabile, deve finire. 


Il dossier del Corriere
Il Corriere Adriatico la scorsa estate ha dedicato una cinquantina di puntate alle incompiute delle Marche, con un focus speciale sull’unico collegamento ferroviario tra Ancona e Roma che non conosce il concetto di puntualità e che sembra non vedere mai la luce in fondo al tunnel.

Negli ultimi vent’anni sono stati raddoppiati appena 11,2 chilometri su 292,7 che complessivamente conta la tratta (di cui 127,3 ancora a binario unico): i 5 km completati tra Fabriano e Albacina nel 2010 con una nuova galleria e i 6,2 km sulla Castelplanio-Montecarotto, inaugurata nell’estate del 2018 dopo circa 17 anni di lavori a singhiozzo. È evidente che questa storia debba finire e che il governo ma anche le Marche protestino come mai hanno fatto. Adesso basta.


Un iter che finirà nel 2250
Così mentre in Abruzzo la lista della spesa per la Pescara Roma è già pronto, qui siamo ancora a carissimo amico. O meglio: il progetto del raddoppio è stato inserito tra gli interventi prioritari da sottoporre a un macrostudio di fattibilità nel programma “Italia Veloce” e il Governo ha deciso di istituire un commissario straordinario che, grazie ai poteri speciali previsti dal decreto Semplificazioni, avrà capacità decisionale nella fase delle autorizzazioni, la più complessa. Ad annunciarlo è stata la ministra Paola De Micheli nell’ambito di un protocollo d’intesa firmato a settembre con i governatori di Marche e Umbria e l’amministratore delegato e direttore generale di Rfi, Maurizio Gentile. Ma con i protocolli non si va lontano: il senatore Coltorti aveva annunciato che si si stavano studiando i conti. A che punto saranno questi conti? Quali sono i problemi concreti da superare? Chi si prende la briga di fare chiarezza? Una sfida che coinvolge in prima battuta il Governo, ma direttamente anche la Regione perché rappresenta il primo banco di prova importante per il nuovo governatore Francesco Acquaroli: sarà l’occasione per valutare la tipologia, l’impatto e l’efficacia delle azioni tecnico-politiche che il neo presidente metterà in campo per rispettare uno dei punti fondamentali del suo programma elettorale. Il problema è duplice. Da un lato i soldi: servono 3,1 miliardi di euro per la Orte-Falconara, di cui 2,3 per la parte marchigiana. Si fa affidamento sul Recovery Fund e sulla quota di circa 6 miliardi destinata alle Marche. Dall’altro, vanno aggiornati alle nuove norme e tecnologie i vecchi progetti approvati dal Cipe ormai 15 anni fa. Basta davvero, le Marche ne hanno abbastanza. 

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