ANCONA - «È certamente comprensibile la sofferenza determinata da una patologia così inabilitante come la tetraplegia. Rimane tuttavia la domanda se la risposta più adeguata davanti a una simile provocazione sia di incoraggiare a togliersi la vita». La riflessione che apre al confronto arriva dalla Pontificia accademia per la Vita guidata dall’arcivescovo Vincenzo Paglia (una laurea in Pedagogia conseguita all’Università di Urbino, ndr), mentre i vescovi marchigiani si pronunceranno sul caso Mario nelle prossime ore e nel frattempo seguono attentamente la vicenda ed i prossimi sviluppi.
«La strada più convincente ci sembra quella di un accompagnamento che assuma l’insieme delle molteplici esigenze personali in queste circostanze così difficili - sottolinea monsignor Paglia -. È la logica delle cure palliative, che anche contemplano la possibilità di sospendere tutti i trattamenti che vengano considerati sproporzionati dal paziente, nella relazione che si stabilisce con l’équipe curante». Ma la vicenda ha riaperto inevitabilmente una frattura importante e sul piano etico lo scontro è servito.
Il confronto
Scienza & Vita ritiene che la vicenda di Mario celi una pesante sconfitta, sotto vari aspetti. «Anzitutto la sconfitta di una vita umana segnata dalla malattia e dalla sofferenza, che non riesce a riconoscere più in se stessa quella dignità personale in verità mai perduta, poi una sconfitta per l’esercizio della medicina, il cui plurisecolare paradigma di dedizione assoluta alla cura e all’assistenza delle persone malate, sempre in favore della vita, viene adesso sovvertito, quasi ribaltato, includendo in quell’assistenza anche la possibilità di dare la morte intenzionalmente».
mtb
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