JESI - I giornali in una mano, il volto rivolto al sole tiepido di primavera. Avvolto in una nuvola di dubbi Carlo Cecchi, pittore jesino d’origini toscane, in piazza della Repubblica spezza il ritmo rilassato delle chiacchiere della domenica mattina con l’amarezza del caso Amazon. «Sì, l’affare è saltato. Mi dispiace tantissimo per il lavoro che avrebbe potuto generare. Sarebbe stata un’occasione per la zona. Persa». Con la mente va all’Interporto, a un passo dalla città-fulcro della Vallesina: sarebbe dovuto essere l’epicentro della mega base logistica del colosso americano del commercio elettronico.
«Realizzai una statua che mi venne commissionata per quel luogo.
Gli umori
Occhi di ragazza e piglio di chi al pubblico è abituata da sempre. Sonia Cellottini, dalla platea di culto del suo Caffè Imperiale, va tutta d’un fiato. «Dispiaciutissima. Tutti stamattina non parlavano d’altro. Sono qui dalle otto, raccolgo gli umori». Si fa portavoce delle prospettive tradite. «Ci credevano in molti». Basta attraversare l’agorà cittadina per sintonizzarsi con suo fratello Mirko. Esce dalla nicchia del gusto del ristorante “Dietro le quinte”, libera il volto dalla mascherina nera anti-Covid, e segue il copione. Alla lettera. «È grave. L’accordo mancato compromette migliaia di posti di lavoro. Certo, bisogna aiutare i piccoli commerciati. Ma erano più le aspettative che i timori». Sulle scalette per il mercato delle erbe Bruno Sassaroli si fa convincere a spezzare il muro della reticenza. «Sono due gli aspetti di questa vicenda. Il primo: un polo logistico di quella portata a Jesi avrebbe generato attività, impiego, sistemazione». Dall’osservatorio privilegiato del suo negozio di abiti grandi firme sul corso passa, con pochi indugi, al secondo punto. «In un posto piccolo come il nostro - è la sua convinzione - una multinazionale come Amazon dà fastidio. Ammazza il piccolo commercio». Va diretto: «Non paghiamo le tasse alla stessa maniera. È concorrenza sleale». La voce fuori campo arriva da piazza Colocci. Zaino in spalla e sguardo rapito dai palazzi superbi che lo circondano, Eugenio Parenti è un turista, di Potenza, ma non si sottrae al confronto. «Anche dalle mie parti è accaduto qualcosa di simile. Poi non se n’è saputo più nulla. Meglio, sarebbe stata occupazione precaria». Ci ripensa: «Facile da dirsi, io la sicurezza di un lavoro ce l’ho».
La rabbia
Come ferite sulle pelle viva. Massimo Bacci è rabbia al quadrato. «Dicono che ancora non sia finita, se così non fosse sono senza parole. C’erano tutti i presupposti per arrivare a una conclusione. Spero - è severa la voce del sindaco di Jesi - che la Regione ci spieghi cosa sia accaduto». Ripassa veloce: «Scannel era la società che avrebbe dovuto realizzare la struttura, aveva vinto un bando di Amazon, mi dicono che fosse andata incontro a tutte le richieste accettabili». Va oltre: «Interporto avrebbe dovuto trovare una soluzione. Quando la politica adduce scuse come il rispetto della legittimità dell’operazione, una condizione a prescindere, cerca alibi». Bacci s’interrompe, è la cadenza spezzata dell’incredulità. «Dicono che la trattativa sia ancora legata a un filo. Non ci credo troppo». Chiude con il passato: «Il treno forse è perso. Per Jesi e per la Vallesina, tutta, sarebbero stati migliaia di posti di lavoro. L’hub che si sarebbe dovuto realizzare sarebbe stato il più grande dell’Europa occidentale».