ANCONA Ormai sono chiare le domande a cui dovranno rispondere le due inchieste aperte sull’alluvione del 15 settembre, in particolare quella della Procura di Ancona, che indaga con ipotesi di reato di inondazione colposa e omicidio colposo plurimo. La prima, di una brutale semplicità, è se con un’allerta meteo più precisa di quella emessa alla vigilia del nubifragio e con un allarme più tempestivo della Protezione civile regionale (scattato solo alle 22 di giovedì sera, quando i fiumi erano già straripati trascinando via 13 persone) le pesantissime conseguenze dell’alluvione potevano essere scongiurate o anche solo attenuate, sia in termini di vite umane che di devastazione del territorio. Perché ormai è chiaro a tutti che il sistema di prevenzione del rischio legato al maltempo ha avuto diversi passaggi a vuoto.
Il bollettino meteo
Non solo lasciando fuori dal messaggio di allertamento emesso mercoledì 13 settembre in base al bollettino meteo del Centro funzionale decentrato proprio il territorio dell’hinterland Senigalliese, quello più duramente colpito, inserito in zona verde dalla Protezione civile, mentre l’allerta gialla per vento e temporali riguardava solo l’entroterra montano e alto collinare delle province di Pesaro Urbino e Ancona. Davvero un fenomeno meteo così estremo (440 mm di pioggia caduti in 7 ore), non era “prevedibile allo stato attuale delle conoscenze”, come sostiene la Protezione civile regionale? Un quesito che verosimilmente la Procura dorica affiderà a un consulente tecnico. I devastanti temporale autorigeneranti, non erano “leggibili” nelle mappe meteo 24 ore prima?
L’inchiesta affidata dal procuratore capo Monica Garulli ai carabinieri forestali e del Nucleo investigativo di Ancona cercherà poi di capire, partendo dai tabulati telefonici di cinque funzionari regionali acquisiti nei giorni scorsi, perché dalla sala operativa della Protezione civile l’allarme ai Comuni lungo il bacino idrografico del Misa sia partito solo alle dieci di sera.
Le avvisaglie
E dire che avvisaglie di quel che sarebbe accaduto ne erano arrivate da nord già a metà pomeriggio. A Cantiano e in altri comuni dell’entroterra pesarese s’era scatenato un violento nubifragio intorno alle 16 e alle 19 cominciavano a straripare il Burano e altri fiumi, allagando la piazza principale di Cantiano, con immagini rilanciate sui social. A quell’ora anche il Sanguerone era tracimato a Sassoferrato.
Già in quei momenti il pericolo del nubifragio era percepito anche più a sud, lungo la valle del Misa, se è vero che Dario Perticaroli, sindaco di Arcevia, ricordava anche ieri, tabulati alla mano, di aver chiamato la Sala operativa di Ancona alle 19.23, preoccupato per la pioggia, tanto che già da un’ora si era attivato con la protezione civile locale e le forze dell’ordine.
«Da Ancona mi hanno detto di attivare il Coc, l’ho fatto subito al telefono perché il Comune era parzialmente allagato e non avevo energia elettrica», ricorda Perticaroli.
Aggrappati ai rami
L’allarme è scattato quando il peggio ormai era accaduto, con le vallate dell’entroterra senigalliese inondate da acqua e fango già dalle 20 e la gente in fuga ai piani alti. C’è chi si è aggrappato ai rami d’albero, per non essere trascinato via come il piccolo Matteo, 8 anni, che ancora non si trova, e altri sfortunati travolti dallo tsunami della piena. Undici vittime e due dispersi. La Procura cercherà di capire se, con un allarme più tempestivo, quelle vite potevano essere salvate.