Marche, territorio devastato dall'alluvione: conto da tre miliardi. I danni superano i costi degli investimenti necessari per mettere tutto in sicurezza

Marche, territorio devastato dall'alluvione: conto da tre miliardi. I danni superano i costi degli investimenti necessari per mettere tutto in sicurezza
Marche, territorio devastato dall'alluvione: conto da tre miliardi. I danni superano i costi degli investimenti necessari per mettere tutto in sicurezza
di Martina Marinangeli
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Martedì 20 Settembre 2022, 03:10 - Ultimo aggiornamento: 21 Settembre, 09:41

ANCONA - Per mettere in sicurezza il vulnerabile territorio marchigiano dalla piaga del dissesto idrogeologico, sarebbero necessari 2 miliardi di euro. Ad abbozzare la stima è stato, nei giorni scorsi, il governatore Francesco Acquaroli. Da una primissima ricognizione, i danni provocati dall’apocalisse che si è scatenato nelle province dell’Anconetano e del Pesarese nella notte tra giovedì e venerdì oscillano tra i 3 ed i 4 miliardi di euro, oltre al conto ben più drammatico presentato dall’alluvione: gli 11 morti ed i due dispersi che si è lasciato dietro. Se la matematica non è un’opinione, i danni dell’alluvione costeranno alle Marche almeno una volta e mezzo gli investimenti necessari per mettere in sicurezza l’intero territorio regionale.

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Ed è solo una prima stima. Ancora restano fuori dal computo i danni indiretti alle aziende per lo stop prolungato della produzione ed i conseguenti mancati introiti. Una cifra astronomica che sarà difficile riuscire a coprire per intero, benché in caso di eventi calamitosi che provochino danni per più di 650 milioni di euro scatta il Fondo di solidarietà europeo. E l’evento calamitoso in questione è stato uno dei più devastanti che si ricordino: l’assessore alla Protezione civile Stefano Aguzzi ha ribadito in più di un’occasione che un’alluvione di questo genere non si era mai vista nella storia delle Marche. Ma anche volendo ammettere questo, si poteva fare di più per evitare che un evento di per sé grave si trasformasse in un dramma da cui la nostra regione farà molta fatica a rialzarsi?


Il Misa nel mirino


A provocare i danni più ingenti, come ormai noto, è stata l’esondazione del fiume Misa, che per la seconda volta in appena otto anni ha colpito il Senigalliese provocando morti e devastazione. Per la sua messa in sicurezza, l’Assetto di progetto della media e bassa valle del fiume Misa elaborato nel 2016 dall’Autorità di bacino regionale per Palazzo Raffaello aveva calcolato una spesa pari a 110 milioni di euro, di cui 48 milioni per gli interventi prioritari.

Ma la cifra era tarata sul prezzario del 2016: con i conti aggiornati ad oggi, il costo totale supera i 200 milioni di euro. Una parte del progetto è stata nel frattempo portata avanti, come ha dettagliato il dirigente del dipartimento regionale Infrastrutture e Protezione civile Nardo Goffi. Nello specifico, sono già stati impegnati e spesi 15 milioni di euro per il rifacimento degli argini e dei ponti distrutti nel 2014 e per l’avvio dei lavori per la cassa di espansione nella zona di Bettolelle (partiti solo lo scorso giugno), proprio dove nella notte tra i 15 ed il 16 ha perso la vita Gino Petrolati. Altri 17-18 milioni di euro sono in fase di progettazione es serviranno a portare a completamento gli interventi. E sommando i due capitoli di spesa, si arriva a 33 milioni. La differenza per arrivare ai 200 milioni necessari dovrà essere coperta con fondi regionali, nazionali, della programmazione europea e dei fondi Pnrr. «I 45 milioni di euro per il Misa di cui si è parlato in questi giorni non sono mai stati erogati dal ministero», specifica poi Goffi. E il riferimento è ai fondi previsti dal Piano Italia Sicura, elaborato dal governo Renzi ma mai messo a terra. 


Le vasche di espansione


Ma la domanda che più di tutte ha tenuto banco in questi giorni drammatici è volta a capire come mai i lavori per la più grande delle tre vasche di espansione da realizzare sul Misa- quella della zona di Bettolelle, appunto - siano partiti solo lo scorso giugno nonostante se ne parli dal 1982. A spiegare la storia di ordinaria burocrazia tipicamente italiana ci pensa il capo della protezione civile regionale Stefano Stefoni: «La competenza sulla sicurezza dei fiumi passa dalle province alla Regione nel 2016, dopo la riforma Delrio. Nel 2018, l’aggiudicazione del progetto elaborato dalla Provincia diventa definitiva e da qui parte la storia moderna. Il contratto poteva essere firmato solo nei primi mesi del 2020. Nel frattempo c’erano state un paio di piene che avevano cambiato in parte lo stato dei luoghi. Quindi è stato necessario rifare la parte topografica ed il computo metrico del progetto. Ho modificato il progetto perché quello che mi era stato proposto era ingestibile: prevedeva l’attivazione di 6-7 saracinesche quando la vasca entrava in funzione. La presenza di queste saracinesche, a mio avviso, rendeva inutile l’opera e mi sono preso la responsabilità di cambiare il progetto. Questo ha comportato un ulteriore passaggio con l’ufficio della Valutazione di impatto ambientale provinciale, che non voleva rilasciarci la Via. C’è stato un rimpallo tra noi e loro andato avanti anni e solo ad inizio 2022 ci hanno dato questa autorizzazione. A quel punto, tra aprile e maggio abbiamo affidato l’appalto». Il resto, è cronaca di questi giorni.
 

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